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Capitolo IX<br />
Il medicone<br />
Il prete aveva pagato a stento la lisca, ma Paulin si rite neva<br />
già fortunato perché in altre occasioni gli era toccato di peggio<br />
e ce l’aveva addirittura rimessa. Certo che il fascio ora s’era<br />
proprio assottigliato e ce ne sarebbe stata sì e no per altre due<br />
cascine. Voleva dire che sarebbero andati a casa prima, tanto<br />
Natale era vicino e se mai sarebbero ritor nati dopo le feste per<br />
completare il giro.<br />
Michele era molto contento perché cominciava a sentire<br />
nostalgia dei Silecchi. Quando era partito, tutto preso dal -<br />
l’euforia del viaggio, si era quasi dimenticato della sua fa -<br />
miglia. E la sera prima della partenza, mentre i suoi fratelli<br />
avevano pianto, lui aveva fatto finta di niente e aveva cer cato<br />
in ogni modo di sfuggire i loro sguardi tristi. Perché aveva in<br />
testa solo di partire e non voleva assolutamente che qualcosa<br />
potesse trattenerlo. E così aveva peregrinato vo lentieri di<br />
cascina in cascina e ogni volta non vedeva l’ora di ripartire per<br />
arrivare in un’altra. Ma a lungo andare il gioco aveva perso il<br />
suo fascino e sempre più spesso gli ritorna vano alla mente le<br />
voci e i gesti della loro vita in comune. Pian piano il ricordo si<br />
era trasformato nel bisogno fisico struggente del calore dei<br />
loro corpi, così come lo percepiva quando si stringevano l’uno<br />
contro l’altro nel letto dove ci dormivano in quattro. E rimpiangeva<br />
quello stuzzicarsi con tinuo dal mattino alla sera, che<br />
già cominciava nel letto e poi continuava nella vigna o a Piota<br />
o sulla strada per Lerma e che neanche le minacce di botte<br />
di Paulin riuscivano a sco raggiare. Con loro ci scherzava<br />
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