careghé - Archivio Storico

fare i furbi. Santo stava per rispondergli, ma io gli ho fatto
segno di star zitto. Lui ci guardava e, forse perché si aspettava
che reagissimo, c’è rimasto male.
- E’ la spia del paese, non lo può vedere nessuno. Va a finire
che un giorno gli fanno un fracco di botte che per un po’ se
le ricorda.
- Le tasse le facciano pagare a chi può, non che tolgono il
pane di bocca alla povera gente. Il maiale mica lo alle viamo
perché poi loro ce ne portino via mezzo! Ma io non pago, state
tranquillo. Possono venire anche i carabinieri, ma io non
pago - disse Tognu scaldandosi un po’.
- Oh, lo dico anch’io. A proposito: avete preso la roba che
vi avevo detto? Se tutto è pronto potremmo anche am mazzarlo
stasera.
- C’è tutto, c’è tutto. Se per voi va bene così, per noi non
c’è problema. Vero Dina?
- Ho lavato i tegami e le pentole per i brodi proprio ieri -
rispose la donna che aveva appena cominciato a gettare delle
piccole manciate di polenta nell’acqua bollente. Compiva
quel gesto in modo grazioso, come se accarez zasse la superficie
schiumosa. E la piccola nube di polvere gialla che scivolava
via dalla sua mano si rapprendeva im mediatamente al primo
contatto con l’acqua. La porta si aprì lasciando entrare uno
sbuffo di nebbia. Tre ragazzi, il più piccolo avrà avuto quanto
Michele, irruppero dentro sgomi tando e ridendo. Si arrestarono
non appena si accorsero che c’era qualcuno. Erano tutti alti
e ben messi che anche senza conoscerli uno avrebbe detto che
erano figli di Tognu. Salu tarono Paulin e poi lesti si tolsero le
bluse e presero posto intorno al fuoco. Michele si scosse dal
suo torpore e comin ciò a guardarli con insistenza, come per
cercare un primo contatto con loro.
- Avete dato da mangiare alle bestie, fuenti?
- Sì, padre - rispose quello che sembrava il più grande -
Abbiamo anche cambiato lo strame alle pecore.
- Bravi! - disse Tognu, orgoglioso che ci fossero arrivati da
soli a fare un lavoro che andava fatto. E si girò soddi sfatto ver-
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