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di Bruno Bontempo - Edit

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Lo scorso giugno sono stati attribuiti i Premi della<br />

XLII e<strong>di</strong>zione del concorso Istria Nobilissima, che<br />

hanno dato una nuova conferma dei potenziali creativi<br />

del gruppo nazionale italiano nei campi dell’arte e della<br />

cultura. Ritenendo che <strong>di</strong> tali potenziali debba fruire<br />

il maggior numero <strong>di</strong> lettori nelle pagine riservate alle<br />

letture, “Panorama” propone le opere a cui siano stati<br />

attribuiti premi o menzioni.<br />

Nella sezione “Prosa narrativa su tematiche che<br />

interessano il mondo comune istro-quarnerino e dalmata”<br />

riservata ai residenti in Italia che hanno origini<br />

istriane, quarnerine o dalmate, il secondo premio è<br />

stato assegnato a NICOLÒ GIRALDI <strong>di</strong> Trieste per il<br />

suo racconto dal titolo “Lontano da casa” <strong>di</strong> cui pubblichiamo<br />

la prima parte. Questa la motivazione: “Un<br />

racconto ‘epistolare’ che prospetta i destini <strong>di</strong> persone<br />

<strong>di</strong>verse nella guerra 1914-1918. Una guerra dolorosa e<br />

34 Panorama<br />

Letture<br />

complessa dove gente della stessa nazionalità combatteva<br />

in <strong>di</strong>fferenti eserciti. Un dramma vissuto su <strong>di</strong>versi<br />

fronti, nei campi <strong>di</strong> deportazione e in prigionia”.<br />

«Lontano da casa»<br />

Prologo<br />

«Rubai un tovagliolo <strong>di</strong> stoffa bianca da una locanda in<br />

cui avevamo mangiato per pranzo. Nel pomeriggio doveva<br />

arrivare l’or<strong>di</strong>ne dal Comando Supremo dell’Imperial<br />

Regio Esercito <strong>di</strong> partire alla volta del fronte. Da Pola,<br />

adagiata sulla punta della penisola istriana, ci avrebbero<br />

mandati verso l’interno dell’Impero, a presi<strong>di</strong>are la linea<br />

<strong>di</strong> guerra dei Carpazi. Ora si cominciava a far sul serio,<br />

niente esercitazioni, niente finzioni, nessuna sceneggiata.<br />

Ora si faceva sul serio, la guerra era scoppiata e noi avevamo<br />

- come <strong>di</strong>cevano i nostri comandanti - da <strong>di</strong>fendere<br />

un Impero ed un Imperatore. Il tovagliolo bianco lo nascosi<br />

dentro ai pantaloni <strong>di</strong> tela verde e bevendo l’ultimo<br />

sorso <strong>di</strong> quella malvasia <strong>di</strong> casa pensai che non potevo<br />

sapere se per me sarebbe stata l’ultima volta. Si sarebbe<br />

fatto sul serio, avremmo sparato, pallottole vere, avremmo<br />

combattuto contro un esercito che non conoscevamo,<br />

in una delle zone dell’Impero meno sicure. Giugno stava<br />

per finire, la torrida estate che luglio <strong>di</strong> solito regala<br />

avrebbe raggiunto temperature ancora più bollenti.<br />

A Vergarolla i polesani facevano il bagno quasi già da<br />

un mese e lì la <strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong> guerra non era rimbalzata.<br />

Molti <strong>di</strong> noi erano istriani e a casa lasciavamo molto,<br />

quasi tutto. Non potevamo sapere che tante cose sarebbero<br />

cambiate».<br />

Diario <strong>di</strong> guerra del fante austriaco Marino Benussi<br />

Nei pressi <strong>di</strong> Nizni Novgorod. Quasi Siberia<br />

“Scrivo tutto questo perchè non so esattamente che<br />

fine faremo, quale sarà la nostra sorte, il nostro destino<br />

<strong>di</strong> giovanissimi soldati <strong>di</strong> uno dei più gran<strong>di</strong> e longevi imperi<br />

della storia. L’ultima parte l’ho aggiunta riportando<br />

le parole dei nostri comandanti, sia chiaro, io nell’Impero<br />

non ci ho mai creduto più <strong>di</strong> tanto. Credevo che bastasse<br />

sentire il richiamo <strong>di</strong> casa tua, della tua città in riva al<br />

mare, del tuo campanile così bello e così slanciato verso<br />

le azzurre altitu<strong>di</strong>ni del cielo. Azzurro, che bel colore, così<br />

limpido, senza veli, senza bisogno <strong>di</strong> unirsi ad altri. Ed<br />

invece quando sono stato chiamato dall’esercito imperiale<br />

austrungarico, sulla lettera c’era scritto che l’arruolamento<br />

era obbligatorio e che bisognava presentare la propria<br />

faccia al primo comando militare più vicino a casa.<br />

Per le normali operazioni <strong>di</strong> riconoscimento e successivamente<br />

<strong>di</strong> addestramento. Almeno questo era quello che<br />

mi aspettava. Gli ufficiali del comando da subito si rivelarono<br />

gente alquanto scorbutica, poco rispettosa del mio<br />

non sapere una sola parola <strong>di</strong> tedesco, se non quelle legate<br />

al saluto <strong>di</strong> qualche amministratore citta<strong>di</strong>no influente,<br />

i convenevoli e le banalità da usare con qualche ragazza,<br />

alle volte figlia dello stesso influente e quanto mai ra<strong>di</strong>oso<br />

amministratore del paese. Oggi invece, gli stessi ufficiali<br />

baffuti e rabbiosi, spesso sono quelli che hanno più paura<br />

<strong>di</strong> tutti. Non me lo riesco ancora a spiegare. Così mi <strong>di</strong>edero<br />

l’equipaggiamento per affrontare la guerra, mi assegnarono<br />

un posto dove dormire, un fucile e poche altre<br />

cianfrusaglie che sicuramente non avrei mai usato. Siamo<br />

in cammino da <strong>di</strong>versi giorni ormai ed il fronte si avvicina<br />

sempre <strong>di</strong> più. Questa notte ci sarà qualche movimento,<br />

penso che forse tra un paio d’ore ci metteremo in cammino.<br />

Tutto per il più grande impero della storia, o almeno<br />

questo è quello che ci vogliono far credere”.<br />

Lucio Basiaco, fante scelto.<br />

Marcia per arrivare al fronte.<br />

11 agosto 1914<br />

“La mia Istria. Chissà cosa ne è <strong>di</strong> lei durante questi<br />

giorni così infuocati, così lontani dal periodo in cui ero<br />

bambina. Il mio paese, le sue spesse ed invalicabili mura,<br />

i suoi portoni <strong>di</strong> legno, le case <strong>di</strong> pietra dura, San Biagio<br />

ed il suo altissimo campanile. Chissà come vivono quelle<br />

persone rimaste lì, chissà se sanno dove ci hanno portati,<br />

chissà. Ci hanno detto, il giorno che ci hanno fatto uscire<br />

da Dignano, che ci avrebbero trasferiti perché poteva<br />

essere pericoloso restare dentro al borgo. Ora è tanto<br />

che siamo lontani e lontani sono i tempi in cui ero bambi-

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