di Bruno Bontempo - Edit
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36 Panorama<br />
Letture<br />
“Sicuro lo ga ciapà i ‘taliani...”<br />
“Cosa i magna lèvero anche lori?”<br />
“No, lori va in ristorante ogni giorno per marenda,<br />
pranzo e zena... sempio, si che i magna lèvero anca lori,<br />
cosa no ti ga fame ti?”<br />
“Si mi..”<br />
“E no te pensi che forsi i la ga anca lori, siora fame?”<br />
“Mi pensavo che...”<br />
“No sta star tropo tempo a pensar ti. Lasa che pensi el<br />
manzo che ga la testa granda e ch’el no ga niente de far<br />
tuto el giorno in stalla!”<br />
Suono <strong>di</strong> tromba. Ripetuto più e più volte. Sempre più<br />
vicino, sempre più forte. Così un soldato annunciava l’adunata,<br />
il momento peggiore del fronte. Tutti stretti dentro ad<br />
una trincea scavata nel fango, nello sporco, nel primo ventre<br />
della terra. Tutti sull’attenti e tutti ad ascoltare un ufficiale<br />
molto austroungherese, baffo e capèl col ciodo.<br />
“Soldati abbiamo il compito <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendere i confini del<br />
più grande impero della storia! Impalpabile deve essere<br />
la paura <strong>di</strong> affrontare il nemico, quel maledetto esercito<br />
reale italiano, quelle file <strong>di</strong> savoiar<strong>di</strong> francofone che dal<br />
giorno alla notte s’inventano che Trieste è una città italiana!<br />
Mai cadrà l’aquila che domina il porto più importante<br />
dell’Impero! Mai Piazza Grande vedrà sventolare la su<strong>di</strong>cia<br />
e bambina, ban<strong>di</strong>era tricolore...”<br />
“Pss...”<br />
“De chi el parla?”<br />
“Sta bon, dopo te spiego...”<br />
“...mai il nostro imperatore massimo, duce <strong>di</strong> ogni battaglia<br />
contro gli italiani sin dai tempi <strong>di</strong> Lissa, permetterà<br />
che questo piccolo paese possa minare secoli <strong>di</strong> totale fedeltà!<br />
Mai. E mai potranno pensare le altre potenze <strong>di</strong> promettere<br />
nostri terrirori ad altri in caso <strong>di</strong> impossibile loro<br />
vittoria! Non c’è, non esiste la parola sconfitta nel nostro<br />
esercito, dobbiamo fare in modo che Trieste e l’Istria non<br />
siano mai italiane!”<br />
“Cosa c’entremo noi, Lucio?”<br />
“Sta bon, sempio!”<br />
“...mai lasceremo queste terre per noi così importanti,<br />
mai lasceremo a questo nemico i nostri baluar<strong>di</strong>, le nostre<br />
torri <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa dell’Impero! Non una ban<strong>di</strong>era italiana<br />
sventolerà sul colle <strong>di</strong> San Giusto! Mai il loro vessillo potrà<br />
trovare posto sui municipi istriani, mai per le strade <strong>di</strong><br />
Pola si sentirà la lingua del <strong>di</strong>avolo italiano...”<br />
“Ma i no parlà za italian a Pola, Lucio?”<br />
“La prossima che te <strong>di</strong>si no rispondo de mi...”<br />
“...perchè queste sono regioni del nostro grande Impero,<br />
sono per il nostro Imperatore più importanti della<br />
sua stessa vita! Non dovete essere timorosi, abbiate fede<br />
nell’Austria-Ungheria, la vittoria è vicina! Gli italiani<br />
sono in ritirata, a nord già nostre <strong>di</strong>visioni attaccano da<br />
un paio <strong>di</strong> giorni quelle nemiche, molti soldati scappano<br />
e <strong>di</strong>sertano...”<br />
Così almeno per mezzora. Ogni qualvolta l’ufficiale<br />
aveva voglia <strong>di</strong> <strong>di</strong>re qualcosa. Ogni qualvolta gli arrivavano<br />
degli or<strong>di</strong>ni da eseguire con prontezza. Adunata,<br />
adunata, il tenente deve <strong>di</strong>re qualcosa. E sempre le stesse<br />
cose, sempre gli stessi proclami, le stesse storie <strong>di</strong> italiani<br />
in fuga dal loro esercito, le ban<strong>di</strong>ere da bruciare, il fronte<br />
da sfondare, i contatti da non avere, le fucilazioni, la corte<br />
marziale.<br />
Come sempre tutto finiva con delle urla veementi,<br />
cariche <strong>di</strong> forza, <strong>di</strong> passione e <strong>di</strong> trasporto. Appena finita<br />
l’adunata gli sguar<strong>di</strong> si cercavano, si ponevano le stesse<br />
domande. E i molti istriani chiusi dentro a quella trincea<br />
buia come la signora in nero, si stringevano nei dubbi,<br />
nelle paure <strong>di</strong> non aver capito niente <strong>di</strong> tutto il <strong>di</strong>scorso o<br />
semplicemente se ne fregavano. Da qualche parte correva<br />
la voce che istriani e gente del Quarnero, assieme in un<br />
battaglione, cantassero delle canzoni mentre marciavano.<br />
Niente <strong>di</strong> strano se non fosse che erano canzoni che parlavano<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>serzioni e della voglia <strong>di</strong> veder la guerra, prima<br />
o poi finire. Questo gli austriaci non lo potevano sapere,<br />
anche perché molti ufficiali l’italiano non lo capivano e, <strong>di</strong><br />
conseguenza, poteva capitare che qualche baffuto ometto<br />
dalla <strong>di</strong>visa piena <strong>di</strong> riconoscimenti si mettesse a fischiettare<br />
una canzone <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>mento. Senza sapere <strong>di</strong> esser deriso<br />
da molti.<br />
Lucio aveva combattuto sul fronte dei Carpazi, contro<br />
l’impero dello Zar, contro i cosacchi, gente che a cavallo<br />
sembrava volare tanto rapide erano le loro azioni. Erano<br />
partiti da Pola e via mare erano arrivati a Fiume, non esattamente<br />
in riva, un po’ più verso Sussak. Dopo l’ormeggio,<br />
tutti i militari dell’esercito imperiale erano scesi dalla<br />
Ulan, raggruppati secondo preciso e svevo or<strong>di</strong>ne, messi<br />
in marcia e mandati verso quella linea da <strong>di</strong>fendere che era<br />
molto, molto <strong>di</strong>stante. I Carpazi più che <strong>di</strong>stanti erano un<br />
vero e proprio incubo. Dopo la bollente uccisione <strong>di</strong> Francesco<br />
Fer<strong>di</strong>nando, quella frontiera orientale era <strong>di</strong>ventata<br />
meno sicura. Non che gli ucraini, i rumeni o i moldavi fossero<br />
gente strana o piena d’o<strong>di</strong>o verso l’Impero austrungarico,<br />
era solo che la Russia aveva chiaramente espresso<br />
il suo amore verso Belgrado e non poteva tra<strong>di</strong>re la città e<br />
l’onore serbo. Almeno non in quel momento <strong>di</strong> così grave<br />
bisogno perché erano, i serbi, accusati <strong>di</strong> aver ucciso<br />
il principe ere<strong>di</strong>tiero e sua moglie, cosa che aveva scosso<br />
tremendamente i già scarsi ed inconsistenti equilibri in<br />
quella penisola balcanica.<br />
San Pietroburgo non poteva lasciare i fratelli serbi in<br />
balìa del senso <strong>di</strong> rivalsa e <strong>di</strong> nemesi austroungheresi. Così<br />
intere <strong>di</strong>visioni, composte da uomini <strong>di</strong> ogni provenienza,<br />
si ritrovarono assieme in una marcia verso i Carpazi.<br />
Gente da ogni dove, dalmati, istriani, croati, sloveni, boemi,<br />
moraviani, ungheresi, slavoni, italiani, bosniaci, forse<br />
anche qualche musulmano. Tutti insieme su una linea<br />
<strong>di</strong> confine.<br />
Due imperi contro.<br />
I serbi tra i due.<br />
Lucio sin da quando era partito da Pola aveva pensato<br />
che l’unica cosa importante, ma veramente importante, era<br />
quella <strong>di</strong> tornare a casa, lassù in Istria, vicino a Montona.<br />
Là era casa, il resto, la guerra, i cosacchi, i campi montati<br />
in un paio d’ore e rismontati ancora più velocemente, non<br />
lo entusiasmavano. A casa aveva lasciato la morosa e il<br />
vecchio. La mamma era morta, papà Anselmo era in gamba<br />
e se Nerina avesse avuto bisogno <strong>di</strong> conforto o <strong>di</strong> sue<br />
notizie, lì a San Piero de Portole li avrebbe trovati.<br />
Ucio, facile e parsimonioso soprannome, teneva sempre<br />
un <strong>di</strong>ario, voleva che tutte le cose viste durante la guerra<br />
restassero per sempre nella sua memoria. Certamente le<br />
cose belle, i sorrisi della gente ungherese vicino a Maribor,<br />
lo sguardo del marinaio dalmato a bordo della Ulan