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qui - Porphyra

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contemplando la terra contenuta all’interno (che si dice provenire dalle tombe), la bacia e piange il<br />

proprio destino mortale. Il visir, <strong>qui</strong>ndi il papias, gli sussurra: «ricordatevi della morte»,<br />

adombrando così la pompa consularis: nel trionfo del generale, infatti, sul carro uno schiavo gli<br />

ricordava che era mortale. Tuttavia, se in quel caso ciò aveva funzione apotropaica, volta ad<br />

evitare l’invidia degli dei, ora serviva per ricordare all’imperatore l’obbligo di governare<br />

rettamente, pena la dannazione eterna. 373 Il rito del bacio della terra in segno d’umiltà era previsto<br />

anche nella cerimonia di incoronazione: il sacchetto purpureo veniva presentato all’imperatore e<br />

questi doveva baciarlo tre volte. 374<br />

A causa della sua forma, l’akakia è stata interpretata anche come simbolo del rotolo della<br />

legge della salvezza, di cui l’imperatore cristiano è garante. Essa compare nella monetazione di<br />

Tiberio II, significativamente accanto al loros, a dimostrare la stretta connessione tra i simboli<br />

della cristianità e quelli della vittoria imperiale. Tiberio tiene nella sinistra una croce cui è<br />

sovrapposta un’a<strong>qui</strong>la, possibile conferma della tesi di Pertusi sulla derivazione consolare di questi<br />

segni. L’imperatore appare vittorioso e pronto al trionfo con gli abiti da console; la croce potrebbe<br />

essere interpretata come lo scipio eburneus su cui è posta una croce per indicare la cristianità del<br />

detentore e la concessione divina della vittoria. La scritta riportata sulla moneta conferma quanto<br />

detto: «victoria tiberia victoria augustorum». 375<br />

L’akakia rimane per sempre nel corredo imperiale, essendo immortalata nelle immagini<br />

dell’ultimo imperatore Costantino XI; il quale in pieno sperimentò il suo significato di transitorietà<br />

del potere.<br />

2.10. Il labaro: effigie costantiniana, pegno di vittoria mondana.<br />

Il labaro fa la sua prima apparizione nel celebre racconto di Eusebio, 376 ove si susseguono la<br />

visione della croce in cielo, con la scritta «in hoc signo vinces», ed il sogno in cui Cristo promette<br />

a Costantino la vittoria e lo istruisce su come costruire un’insegna da usare in battaglia.<br />

Poiché questo passo, da cui discende l’adozione del labaro, non trova riscontro nella Historia<br />

ecclesiastica dello stesso Eusebio, parte della critica lo ritiene un’interpolazione, forse del V<br />

secolo. 377 Lattanzio non nomina affatto la visione della croce, parlando al massimo di<br />

un’apparizione di Apollo, 378 e racconta di un sogno riguardo la battaglia di ponte Milvio e di segni<br />

cristiani fatti incidere da Costantino sugli scudi dei suoi uomini: «egli fece così e, girando e<br />

373<br />

Cfr. PANASCIÀ, Il Libro delle cerimonie..., cit., pp. 158-164; SOZOMENO, Historia Ecclesiastica, 9, 4, 6, in PG,<br />

67, 1605.<br />

374<br />

Tale rito è passato nell’incoronazione papale, dove innanzi al neoeletto viene bruciata su una canna d’argento un<br />

batuffolo di cotone e si pronuncia la frase: «sic transit gloria mundi».<br />

375 Cfr. GRABAR, L’iconoclasme byzantine..., cit., pl. 2, 20; IDEM, L’empereur..., cit., fg. 12, 5; BELLINGER–<br />

GRIERSON , Catalogue..., cit., 2, 1, 86-87 e 3, 1, 133-134.<br />

376<br />

L’imperatore, mosso da pragmatismo e da un romanissimo senso dello stato, rivolge una supplica al dio adorato dal<br />

padre; subitanea risposta fu la visione, intorno a mezzogiorno, di un segno nel cielo, al di sopra del sole, con una croce<br />

di luce ed la scritta: «in hoc signo vinces», visibile a tutti i soldati della sua truppa. A completare il quadro, la notte<br />

successiva, un sogno in cui Cristo gli ingiunge di costruire un’insegna da usare in battaglia con scopo apotropaico<br />

contro ogni sorta di nemico. Cfr. TARTAGLIA, Eusebio di Cesarea, Vita di Costantino..., cit., pp. 59-62;<br />

NICHOLSON O., Constantine’s Vision of the Cross, in “Vigiliae Christianae” 54 (2000), pp. 309-323; MARCONE,<br />

Pagano e cristiano..., cit., pp. 70-76; THÜMMEL H.G., Die wende Konstantins und die Denkmäler, in<br />

MÜHLENBERG E. (a cura di), Die Konstantinische Wende, Güterslohe 1998, pp. 144-185; WEISS P., Die Vision<br />

Constantins, in BLEICKEN J. (a cura di), Collo<strong>qui</strong>um aus Anlaβ des 80. Geburtstages von Alfred Heuβ, Frankfurt<br />

1993, pp. 143-169.<br />

377<br />

Cfr. GRÉGOIRE H., La conversion de Costantin li<strong>qui</strong>dée, in “Byzantion” 14 (1939), pp. 341-351, si basa su un<br />

adattamento in chiave cristiana di un passo di LATTANZIO, Sulla morte dei persecutori, 44-46.<br />

378<br />

Visione che deriva da una notizia pervenuta da un anonimo panegirista gallico e pronunciata a Treviri, secondo la<br />

quale l’epifania sarebbe avvenuta presso Grand o Nîmes nelle Gallie. Anche secondo Eusebio la visione della croce<br />

avvenne nelle Gallie. Cfr. LAT., Pan., 6, 7, 21.<br />

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