Stanchi dei fiori - Arte e Arti
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IPERuRAnIO - VOL. 1, n. 1<br />
il lettore ricorderà “le ginestre fulgenti / di <strong>fiori</strong> accolti” 47 della<br />
Pioggia nel pineto, o i funebri “asfodeli dell’Ade” 48 delle Stirpi canore,<br />
o ancora le “fresche ghirlande” 49 di Lungo l’Affrico nella sera di giugno<br />
dopo la pioggia. La raffinata erudizione botanica di d’Annunzio,<br />
coltivata su repertori specialistici dell’epoca quali il Prodromo della<br />
flora toscana di Teodoro Caruel, trova però pienamente sfogo in un<br />
componimento meno noto della raccolta, L’asfodelo, in cui nella forma<br />
dialogica della tenzone, i protagonisti Glauco e Derbe evocano i vari<br />
<strong>fiori</strong> dell’anno secondo la stagione della loro <strong>fiori</strong>tura, dall’asfodelo<br />
primaverile al colchico autunnale, in una smania elencatoria che certo<br />
appassionerebbe l’Eco della Vertigine della lista ma che tende un poco<br />
a soffocare quell’ansia inesauribile di vita (“Quanti <strong>fiori</strong> <strong>fiori</strong>ranno /<br />
che non vedremo, su pe’ fulvi monti?”) che è l’anima profonda del<br />
componimento:<br />
GLAUCO<br />
O Derbe, approda un fiore d’asfodelo!<br />
Chi mai lo colse e chi l’offerse al mare?<br />
Vagò sul flutto come un fior salino.<br />
O Derbe, quanti <strong>fiori</strong> <strong>fiori</strong>ranno<br />
che non vedremo, su pe’ fulvi monti!<br />
Quanti lungh’essi i curvi fiumi rochi!<br />
Quanti per mille incognite contrade<br />
che pur hanno lor nomi come i <strong>fiori</strong>,<br />
selvaggi nomi ed aspri e freschi e molli<br />
onde il cuore dell’esule s’appena<br />
poi che il suon noto per rendergli odore<br />
come foglia di salvia a chi la morde!<br />
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