Stanchi dei fiori - Arte e Arti
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GAbRIELE d’AnnunzIO. unO CHE dEI FIORI...<br />
hanno infatti rappresentato, insieme a quelli pascoliani, un ponte<br />
fondamentale tra il “mazzolin di rose e viole” del Sabato del villaggio<br />
leopardiano - contro cui si era scagliato già Pascoli per la sua genericità<br />
e la scarsa attenzioni alle reali stagioni di <strong>fiori</strong>tura - e le allegorie e<br />
i correlativi oggettivi tutti contemporanei del Montale di Portami il<br />
girasole; o ancora tra il simbolismo filosofico e sublime della Ginestra<br />
e l’impressionismo misterioso dell’Ortensia blu di Rilke; per non<br />
parlare di quello straordinario esito parodico che sono “le insalate, i<br />
legumi produttivi” della Signorina Felicita di Guido Gozzano.<br />
A conclusione del percorso vorrei riportare integralmente una poesia<br />
quasi sconosciuta del giovanissimo d’Annunzio, raccolta in Primo<br />
vere (1879) e interamente dedicata alla regina <strong>dei</strong> <strong>fiori</strong>, la rosa, la più<br />
cara al poeta e a tutta la tradizione poetica italiana, fin dal Contrasto<br />
di Cielo d’Alcamo:<br />
Pallida rosa, che da ’l verde céspite<br />
ridi con placido desio<br />
a ’l bel viale d’amore de ’l sole occiduo<br />
e gli mandi i tuoi balsami<br />
senti tu tra le foglie i dolci fremiti<br />
ch’or natura scuotono?<br />
intendi la canzon che canta Zefiro<br />
tra’ rami di que’ platani?<br />
Ecco, il tuo stelo trema a ’l bacio languido<br />
d’un amante libellula,<br />
e le viole invidiando guardano<br />
i tuoi divini gaudii:<br />
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