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dire Baudrillard? O ancora, parafrasando Jean Clair; il nuovo non esiste<br />
poiché esso è soltanto un riconoscere ciò che è stato, una questione di<br />
memoria e la vera modernità non è quella proclamata dalle avanguardie e<br />
dalla corsa all’innovazione ma quella che, appunto, ricorda, rifà la storia,<br />
riprende la pittura, ne ricostruisce il corpo e i suoi aspetti figurali?<br />
Domande forse sospette e che non possono essere lasciate così, senza<br />
che non ci s’interroghi ulteriormente sulle questioni poste. Le cose non<br />
stanno proprio così come i nostri due moralizzatori dell’arte, <strong>Art</strong>hur Danto<br />
e Jean Clair, in maniera del tutto differente e da punti di vista, almeno in<br />
maniera apparente, diametralmente opposti, ci vogliono sapientemente<br />
dire. Senza qui richiamarci ad Heidegger, il quale aveva già affrontato la<br />
questione nel suo saggio ormai noto -e, direi incautamente, piuttosto<br />
spesso citato da tutti quelli che sentono l’inderogabile bisogno di<br />
affrontare la relazione fra arte e Filos<strong>of</strong>ia- “L’origine dell’opera d’arte”,<br />
tentiamo di comprendere se possiamo intenderci quando parliamo di<br />
cose e di che propriamente si tratta. Intanto, già riferirsi alle cose sarebbe<br />
come nominarle. Le cose non sono semplici oggetti o un qualunque<br />
oggetto, oggetti-cose che già presupporrebbero una visibilità, un toccare,<br />
un vedere, insomma una tangenza con il corpo. Gli oggetti esigono di<br />
essere visti, le cose, invece, no. La cosa deve essere colta, compresa,<br />
presa, afferrata, prima che essere vista.<br />
Si ha una qualche ragione nel sostenere che le cose ci appaiono<br />
indefinite in quanto non si mostrano direttamente ma pretendono uno<br />
sforzo della ragione, un passaggio, una mediazione fra il limite della<br />
ragione e lo sconfinamento dell’immaginazione. Già quando guardiamo<br />
una montagna, un bosco, un oceano, un deserto, se ancora esiste questa<br />
romantica possibilità, non è proprio la montagna, il bosco, l’oceano, il<br />
deserto che vediamo ma i loro significati, i loro nomi, la <strong>cult</strong>ura che ce li<br />
ha fatti conoscere, osservare, guardare, come giustamente ricorda Remo<br />
Bodei nel suo recente pamphlet “Paesaggi del sublime”. Cosa ne<br />
sappiamo veramente se non, appunto, che essi continuano ad essere<br />
parole, discorsi al posto delle cose? Forse bisognerebbe levare le parole<br />
dalle cose, sospendere il loro intreccio semantico ma avremmo così<br />
ancora delle cose?<br />
Cose e oggetti non sono parole interscambiabili fra di loro, che hanno a<br />
che fare con una denotazione sicura sia sul piano della referenza che<br />
della semantica, e non ap<strong>part</strong>engono allo stesso universo concettuale. Le<br />
cose sono neutre, indefinite, per riconoscerle non basta toccarle, vederle<br />
odorarle con i sensi ma bisogna sostare in una zona d’ombra dove non<br />
tutto ciò che appare è; bisogna pensarle, varcare un confine, sentire<br />
l’origine, ciò che ci accomuna e che fa vibrare le corde di tutti i nostri<br />
sensi. Non è così per gli oggetti che fanno <strong>part</strong>e delle nostre dinamiche<br />
vitali, funzionali, utilitaristiche ed estetiche. Sebbene per Kant il concetto<br />
d’una cosa come fine della natura in sé non sia proprio un concetto<br />
costitutivo dell’intelletto o della ragione ma possa essere un concetto<br />
regolativo per il giudizio riflettente, non di meno è anche vero che non si<br />
possa escludere che il medesimo concetto permetta una riflessione sugli<br />
stessi principi per i quali il mondo si manifesta essendo ciò che è.<br />
Nella raccolta di poesie dal titolo “Antologia di Spoon River”, del poeta<br />
americano Edgar Lee Masters, nell’edizione tradotta da Cesare Pavese,<br />
vi è una poesia,”Dippold l’ottico”; dove un uomo con problemi alla vista<br />
misura una serie di occhiali. Egli vede inizialmente persone, colori ed<br />
oggetti reali. Dippold propone occhiali sempre più raffinati ed efficaci fino<br />
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