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coinvolgimento del pubblico. La sua è una sorta di regia molto attenta<br />

sugli spettatori. Usava tutti i trucchi possibili per stimolarne la percezione,<br />

la curiosità, durante l’intero percorso della mostra, soprattutto attraverso<br />

l’uso della luce. Ho avuto, poi, modo di s<strong>of</strong>fermarmi su alcuni punti in<br />

comune che ho colto tra l’opera di Castiglioni e quella di artisti, musicisti e<br />

scrittori contemporanei che stimo pr<strong>of</strong>ondamente come John Cage o Italo<br />

Calvino. Del resto lo stesso Castiglioni citava spesso la frase di Calvino:<br />

“La fantasia è come la marmellata. Bisogna che sia spalmata su una<br />

solida fetta di pane”. La creatività non basta se manca la metodologia di<br />

lavoro.<br />

Il pensiero di Castiglioni sul design era <strong>part</strong>icolarmente critico<br />

Affermava che la maggior <strong>part</strong>e del design all’interno della società<br />

consumistica non è altro che styling, cosmesi di oggetti. Anziché<br />

migliorare la vita delle persone, ha come unico obiettivo la vendita del<br />

prodotto. L’approccio personale di Castiglioni, invece, è sempre stato<br />

diverso, fin dal dopoguerra, quando iniziava l’attività, insieme ai fratelli<br />

Livio (che si dissociò subito dopo per proseguire autonomamente la<br />

pr<strong>of</strong>essione) e Pier Giacomo con cui Achille fu un tutt’uno fino alla sua<br />

morte, nel 1968. Il momento storico era <strong>part</strong>icolare, tutti volevano dare il<br />

proprio contributo alla ricostruzione del paese. Il design, come<br />

l’architettura, erano per lui un impegno sociale per il bene comune, non<br />

certo per far arricchire qualcuno, che fosse un’azienda o le proprie<br />

tasche. Non è un caso che Castiglioni non fosse interessato a costruire<br />

oggetti di lusso. Piuttosto erano di fondamentale importanza gli oggetti di<br />

uso comune, del quotidiano. La sua vocazione era fare qualcosa per la<br />

società. Tutti i suoi lavori sono caratterizzati da una forte impronta<br />

anticonsumistica.<br />

Nello studio-museo al civico 27<br />

di piazza Castello c’è un’insolita<br />

collezione di oggetti del<br />

quotidiano.<br />

Questo spazio è <strong>part</strong>icolarmente<br />

stimolante. Il visitatore si sente a<br />

casa propria. Del resto, lo stesso<br />

quando Castiglioni era molto<br />

accogliente. Cavaglià mi ha raccontato che fin dal ’61, quando vi<br />

entrarono i fratelli Castiglioni, lo studio era stato progettato non solo come<br />

luogo di lavoro, ma di incontro. Ci sono una serie di oggetti curiosi e effetti<br />

ottici decisamente insoliti per uno studio di architettura. Si ha la<br />

sensazione di entrare in una Wunderkammern. Molti oggetti sono<br />

conservati in una specie di vetrina magica. Sono per lo più di design<br />

anonimo e ap<strong>part</strong>engono ad epoche e luoghi diversi, collezionati nel<br />

corso di tutta la vita: forbici, occhiali, scarpe, giocattoli, radio…<br />

Qualunque visitatore finisce per ritrovarsi lì davanti. L’architetto li<br />

utilizzava anche durante le sue lezioni al Politecnico di Milano,<br />

portandoseli dietro persino in occasione di convegni internazionali.<br />

Ricordo che nel 1998, la prima volta in cui entrai nello studio in qualità di<br />

interprete di un gruppo di giornalisti giapponesi, quando gli venne fatta<br />

una delle solite domande sul “Compasso d’oro”, premio che Castiglioni<br />

vinse ben nove volte tra il 1955 e il 1989, lui si dileguò senza rispondere.<br />

Subito dopo tornò con un pò di oggetti della sua collezione. Mostrandoci<br />

quegli oggetti ci spiegò dove si trova il design o come l’utilizzo nel tempo<br />

ne determina la forma. Durante quel primo incontro che durò un intero<br />

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