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Le Opere donate dagli Artisti - Delphi International

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Gianfranco Goberti<br />

Gianfranco Goberti nasce a Ferrara, dove intraprende<br />

già giovanissimo gli studi pittorici all’allora Istituto d’Arte<br />

“Dosso Dossi”, di cui in seguito sarà prima docente e<br />

poi direttore e dove, a diciassette anni, vince il primo<br />

premio di pittura “Il Pennello d’Oro”. Completa poi<br />

la sua formazione presso l’Accademia di Belle Arti di<br />

Bologna che, all’inizio degli anni Sessanta, si presentava<br />

come uno centri più fervidi del mondo artistico ed intellettuale<br />

italiano.<br />

A seguito del diploma nel 1965, partecipa alla Quadriennale<br />

di Roma sviluppando in questa prima fase della<br />

sua ricerca pittorica una riflessione che si colloca a metà<br />

tra la Nuova Figurazione e l’Espressionismo astratto.<br />

96<br />

Durante gli anni Settanta, la sua poetica si ‘raffredda’<br />

attingendo al territorio dell’arte concettuale, anche attraverso<br />

un approccio mediato dalle percezioni ‘optical’. Da<br />

qui in poi la sua attività è in piena ascesa ed i suoi lavori<br />

sono presto notati da grandi critici quali Gillo Dorfles o<br />

Pierre Restany, il grande teorico del Nouveau Realisme.<br />

Nel tempo Goberti concretizza una pittura sempre<br />

più impostata sullo spaesamento percettivo, sulle sollecitazioni<br />

ottiche, sull’oggettivazione di frammenti comuni,<br />

quasi banali, come poltrone o giacche, in cui si rincorre<br />

il motivo della linea o meglio della riga. Da qui i lavori di<br />

Goberti iniziano a caratterizzarsi per una fisica realtà, in<br />

cui i volumi degli oggetti acquistano letteralmente corpo,<br />

come nella bella serie delle “camicie”, quasi abitate da<br />

impalpabili ma presentissime entità che ci vengono anche<br />

suggerite dai titoli, come il “Ritratto d’Ignoto”.<br />

L’occhio anatomico di Goberti si fa vicinissimo, ingigantendo<br />

trame e tessuti che, se da un lato si dimostrano<br />

inquietantemente evocativi di una presenza che resta solo<br />

citata, in una “costante metafisica” propria della cultura<br />

ferrarese dechirichiana, dall’altro si traducono in segni<br />

autonomi, liberi di misurare la loro stessa portata pittorica,<br />

instaurando un dialogo continuo tra figura e sfondo.<br />

(f.z.)

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