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L’artista e la bottega medioevale...sempre attuale<br />
Proviamo a dare uno sguardo alla civiltà del passato soffermandoci, in particolare, su di un preciso momento storico,<br />
buio per alcuni, attivo e pieno di prospettive per altri: il Medioevo. Tali considerazioni partono, neanche a dirlo, dall’universo<br />
artista, pieno di problematiche anche in quel tempo; questi, pittore, scultore o architetto che fosse, viveva all’interno<br />
di un meccanismo perverso che ne azzerava la professionalità e la libertà espressiva, relegando la sua attività<br />
sociale ad una dimensione di secondo piano, comune a molte altre. La condizione culturale era così bassa che nessun<br />
esponente dell’alta borghesia o della nobiltà avrebbe mai pensato di intraprendere tale strada. Istituzionalmente l’artista<br />
doveva far parte di una corporazione che, in apparenza, lo proteggeva e lo preservava da ingiustizie palesi: in realtà<br />
tanti erano gli oneri e le regole che doveva seguire, inesistenti gli onori. Il pittore apparteneva alla corporazione dei<br />
Medici e degli Speziali così come i mercanti di colore, i medici, i farmacisti e i commercianti di prodotti vari. Scultori ed<br />
architetti, ancor più giù, appartenevano alla corporazione minore dei Muratori e dei Carpentieri. Il pittore, sembrava<br />
quindi quello messo meglio, ma in realtà il suo potere di contrattazione all’interno della corporazione era assai relativo<br />
in quanto si configurava come semplice sottoposto dell’arte al pari dei macinatori di colori e degli imbianchini, senza<br />
avere alcuna parte attiva nel sistema. La situazione per il pittore però, gradualmente, sembrò migliorare dalla metà del<br />
Trecento in poi, e si assistette a continui segnali d’indipendenza e di dinamicità di questi, tali da arrivare, in seguito,<br />
persino alla riunione autonoma come dipintore e a far parte della Compagnia di San Luca (Firenze), un’importante confraternita<br />
religiosa di laici. Il pittore quindi, emancipato rispetto allo scultore ed all’architetto, cominciò ad organizzarsi in<br />
maniera sempre più qualitativa mostrando un estremo rigore procedurale nella pratica didattica.<br />
La bottega era organizzata capillarmente e considerata l’ombelico del mondo. Tutti gravitavano attorno ad essa: apprendisti,<br />
giornalieri, aiuti, gente comune, artisti vari, ricchi borghesi, ordini monastici, nobili, ecclesiastici ecc.. Nella<br />
bottega si realizzavano oggetti di diverso tipo perché l’artista, avendo una formazione poliedrica, riceveva le commissioni<br />
più disparate, dall’affresco alla gualdrappa da cavallo, dalla pala d’altare agli stendardi e ai cortinaggi, solo per<br />
fare qualche esempio. Il pittore iniziava come apprendista presso un Maestro della corporazione; qui, con un approccio<br />
graduale, imparava il mestiere e la disciplina, cominciando, com’è ovvio, dalle mansioni più umili, prime fra tutte la<br />
macinazione dei colori e la preparazione delle tavole. Per anni seguiva il proprio Maestro con impegno e dedizione<br />
senza avere la possibilità e la coscienza di dipingere autonomamente. Solo in seguito l’apprendista-pittore poteva copiare<br />
i capolavori del Maestro e impararne tutti gli espedienti. La corporazione prescriveva anche i colori da usare e<br />
quelli da bandire (ad esempio era proibito il blu di Prussia e concesso invece il blu oltremare, che peraltro insieme al<br />
color oro era fondamentale e molto caro).<br />
Nel Medioevo il rapporto artista-committente era sintomatico della società di quel periodo: non esisteva la cosiddetta<br />
libertà artistica così come la intendiamo oggi e, chi commissionava, si aspettava dall’artista esattamente la trasposizione<br />
pratica del suo pensiero senza divagazioni di sorta. Solo il sommo Giotto, riconosciuto unanimemente e celebrato<br />
fin dai tempi, poteva esprimere il suo genio liberamente (ma sempre entro certi limiti). Il rapporto artista-committente<br />
era quindi unilaterale e poco (o per niente) democratico, e come tale equiparato ad un qualsiasi rapporto tra l’autorità e<br />
l’operaio subordinato. Il committente poteva inoltre esigere un eventuale risarcimento dall’artista se il prodotto finale<br />
non lo soddisfaceva, in virtù del fatto che era l’unico a potere sostenere l’onere per le procedure. Tutto questo potrebbe<br />
far pensare che i contratti stipulati fossero superficiali nella loro stesura: nient’affatto! – Molti aspetti del prodotto da<br />
realizzare erano ben definiti ed evidenziati: dimensioni, materiali, numero delle figure e ancora, compensi, termini del<br />
pagamento, scadenze di consegna dell’opera. L’artista doveva accollarsi le spese del salario dei lavoranti della bottega<br />
e, spesso, dei materiali occorrenti per eseguire l’opera. E’ facile, a questo punto trarre la conclusione che l’artista beneficiava<br />
ben poco del fatto di potersi riunire all’interno della corporazione dovendo sottostare a contratti così pesanti.. La<br />
voglia di arricchirsi o di stare bene economicamente, anche a quei tempi, doveva essere forte per la categoria, ma le<br />
somme elargite dai committenti erano quasi sempre esigue e non permettevano all’artista di condurre una vita agiata;<br />
pare addirittura che, nel caso di commissioni monastiche, il pagamento avvenisse in natura.<br />
Queste le considerazioni sul periodo storico preso in esame; sorge spontanea una domanda: potrebbe essere valida,<br />
oggi, un’organizzazione didattico-professionale così strutturata? Una sorta di fabbrica delle idee dove artisti dalla formazione<br />
completa rispondono ad ogni tipo di richiesta del committente più o meno ricco ma pur sempre esigente?<br />
La storia ci insegna che qualcosa di simile è già stato sperimentato in Germania con la scuola Bauhaus di Weimar…