Vecchio - 2011 - Il paesaggio nell'era della globalizzazione
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primo negli Stati uniti grazie al fatto che l’assenza di città storiche non<br />
creò resistenza alla modernizzazione incalzante che sostituiva le<br />
dimensioni pedonali delle strade con quelle automobilistiche. Lo sprawl<br />
è tipico <strong>della</strong> nuova spazialità urbana che tende sempre più a spostarsi<br />
nella periferia e nelle aree peri-urbane, e che ha cancellato il centro come<br />
elemento fondante <strong>della</strong> sua realtà, contrapponendosi in questo al<br />
modello che dalla polis in poi aveva la piazza come punto ineludibile<br />
<strong>della</strong> sua configurazione morfologica e simbolica, almeno fino al<br />
modello del modernismo, in cui la città è pensata soprattutto per dare<br />
spazio alla circolazione delle automobili e alle infrastrutture.<br />
Le conseguenze dello sprawl sono state analizzate, fra gli altri, da<br />
Richard Ingersoll, che sottolinea come un tempo «la sintassi delle varie<br />
città si assomigliava ma nessuna città era uguale all’altra» (Ingersoll R.,<br />
2004, p. 11) mentre oggi «la stessa cosa si ripete tante volte ma senza<br />
che vi sia una sintassi» (ibidem, p. 11). <strong>Il</strong> passaggio da una tipologia a<br />
un’altra <strong>della</strong> città può essere compreso attraverso la metafora<br />
dell’albero di Christopher Alexander, che assimila la città diffusa ad un<br />
albero gerarchico e genealogico in cui tutti gli elementi sono ricondotti al<br />
tronco, e attraverso quella posteriore di Deleuze, che oppone al modello<br />
dell’albero quello del rizoma, antigerarchico e senza storia – il quale<br />
rappresenta la classica scacchiera <strong>della</strong> città premoderna – nel quale<br />
ogni punto può collegarsi a qualsiasi altro (ibidem, p. 15). Alla crescente<br />
omologazione <strong>della</strong> città diffusa, comunque, si è reagito con diverse<br />
teorie dell’urbano, fra cui due relative a tipologie di città<br />
fondamentalmente opposte, il modello <strong>della</strong> «piccola città» o Krierstadt<br />
di Leon Krier, in cui si teorizza un ritorno ad una piccola dimensione<br />
urbana, e quello <strong>della</strong> «Generic city» di Rem Koolhaas, che constata<br />
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