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Sul Campo Del Mare - Vilenica

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V2-2010.PM51336/13/100, 12:13 PMSalvatore Niffoiquello del mare, sapeva di frutta caramellata, di mele cotogne appese astagionare. La sera dopo restammo a bagno fino all’alba, quando i cani simisero ad abbaiare contro gli ultimi ubriachi che vomitavano nei canterini.Eia! Vostè non ci crederà, ma dentro il letto, mentre facevamo quelle cose,mi sembrò di sentire solo odore di muggine e di bottariga.«Anche quando mi è nato il primo figlio, Bastianeddu, quello che adessolavora nella peschiera, sentii tra le nari effluvi di pesce sventrato, di fango,di palude. Cadirina era là a gambe aperte, affogata nel sudore. <strong>Sul</strong> tettorimbalzavano i tuoni sfuggiti alla lingua di fuoco dei lampi, gonfiavano lemura di rumori sordi, come di canne spaccate dal sole, si buttavano suivetri sottili facendoli traccare. Trìììì, trìììì, traac! Artigli di gabbiani affamatiche lasciano segni nella comprendonia. Iiih, la memoria! Meglio l’avessipersa quel giorno. Ho avuto altri dodici figli, e nessuno mi ha chiamato“babbu meu”, nessuno mi ha dato del voi, solo del tu, come volesserosputarmi addosso qualcosa. Come un rospo mi hanno sempre trattato. Eite cazzu cheres? Poveritteddu tue! Minciale vezzu chi non ses ateru!Miserabile! Mincialone de muriscu! Con queste parole avvelenate mi hannocondito l’esistenza. Sono venuti su alti otto palmi, ma con il cuore che cistava nel taschino. Cuori di pietra, maledetti siano anche se sono sanguedel mio sangue.«Ma lasciamo perdere, che vostè è venuto per altro, vero? Vuole saperedi quella creatura malfatata che qualcuno disse di aver visto fra gli scogliil giorno della processione, giusto sessant’anni fa. Quando compare TittinuBarchitta arrivò, per ultimo, alla chiesa del villaggio, mi permise in dispartee mi raccontò di averlo visto affiorare dall’acqua, questa cosa informe chesembrava un coniglio scuoiato, una spugna rossa inzuppata di sangue, unpolpo che aveva cagato il fiele. E che strillava a perdiscione. CompareTittinu, che correva sempre ai lati perché gli veniva la diarrea anche se siriempiva di fichidindia, e per non farsi schiacciare i piedi che avevadelicati, era stato l’unico ad avere quell’apparizione, e a rallentare un pocola corsa per fermarsi a guardare. Lui dubbi non ne aveva. “Compare Mariò,”mi disse “quello era un cristiano figlio di nessuno che non doveva passareper l’acquasantiera!”. A vederlo mentre raccontava faceva impressione,era bianco come la tela del suo costume e gli occhi gli friggevano comeciccioli nello strutto. Io, dottore mio, poco gli ho creduto: a compareBarchitta lo chiamavano così perché viaggiava più con la fantasia che inmare. Però pensai: è meglio che vado a sincerarmi di persona.«Nella chiesetta del villaggio di San Salvatore (quella dove viene portatoil Santo la mattina del sabato, lo sa, no?) ci ero arrivato col carretto, unavergogna per la prima pandela, ma avevo una gamba gonfia, nera come ifrutti del prugnolo. L’asina allungava i suoi passi verso il sole checontinuava a rotolare in silenzio verso il mare. “Brutto segno, bruttosegno!” ripeteva cantilenando Cadirina, che aveva ancora negli occhi itopi grassi del sogno. Insomma, quando arrivai vicino agli scogli, di quellacreatura non c’era più traccia. Colpa del Santo e del sole, mi dissi. Inlontananza, il mare si era increspato e il vento spingeva verso il porto diOspai un’imbarcazione che aveva la vela color porpora. “Mai vista una133

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