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Padre padrone - Sardegna Cultura

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faccia del marito una volta che sentì che gli occhi erano<br />

salvi.<br />

– In un macchione? Queste sono percosse! Sono colpi!<br />

Il babbo stava lì al focolare. Voleva quasi sprofondare<br />

nel pavimento dalla vergogna. E rannicchiato in silenzio<br />

subì, senza smentire, la tirata violenta del medico.<br />

– Voi vi mettete a educare i figli come le bestie che<br />

educate alla soma o al giogo! Usate sempre la frusta e il<br />

bastone! Educare è difficile e non si educa col bastone<br />

o coi cespugli, ma con la parola. Ti dovrei denunciare,<br />

caro Abramo! Non lo faccio perché mi rendo conto<br />

della vostra condizione e non voglio aggiungere miseria<br />

alla miseria che vi sta addosso da tutte le parti. Ma ti<br />

serva da lezione!<br />

Il dottore uscì di casa lasciando mio padre mogio mogio<br />

come un cane picchiato dal <strong>padrone</strong>.<br />

– Beh, il gregge è incustodito. Io me ne ritorno all’ovile.<br />

– E uscì di casa per non subire oltre il peso della<br />

sua situazione.<br />

Mia madre mi riportò a letto e mi mise sul materasso<br />

e sul guanciale che non ricordavo più. Il volto e le ferite<br />

mi prudevano ancora. E nel silenzio della stanza tra il<br />

dormiveglia rivissi i brani salienti dell’attacco iracondo.<br />

Sul guanciale mi veniva quasi spontaneo contorcermi,<br />

scrollare il capo e chiudere gli occhi in tempo, prima<br />

che il cespuglio mi si sbrandellasse in faccia e mi accecasse.<br />

Ero stanco e indolenzito. E il sonno mi avvinse<br />

e mi tolse dall’episodio mentre schivavo il cespuglio<br />

che mi stava tempestando ancora le tempie.<br />

La mattina, sul dormiveglia, “ero” all’ovile. Mi sem-<br />

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brava strano però il fatto che non sentissi il linguaggio<br />

dell’alba di Baddhevrùstana (che ascoltavo sulla stuoia,<br />

mentre il babbo mungeva le pecore). Lo ascoltavo tra le<br />

coperte e non sentivo l’abbaiare dei cani, lo scampanio<br />

delle greggi del vicinato. Quella mattina la natura non<br />

rideva. Le upupe non cantavano, i cucculi e le piche<br />

non modulavano il loro canto. Eppure io “ero” sulla<br />

stuoia, nella capanna. Non appena mi rivoltai, le ferite<br />

strisciando sul guanciale mi richiamarono alla realtà e<br />

mi piombarono sull’aia della sera prima. Mia madre si<br />

avvicinò al letto con una tazza di latte zuccherato.<br />

– Ora non devi uscire con questa faccia! È vergogna.<br />

Finché non sarai guarito resterai in casa. – Mi tenne<br />

chiuso in casa per una settimana. Doveva salvare la reputazione<br />

del marito. La cosa agli occhi della gente sarebbe<br />

stata uno scandalo. Una sera il babbo mi ridette<br />

la libertà. Al buio mi ricondusse all’ovile. E la mia faccia<br />

turgida, abbrucciacchiata dalla tintura di iodio, riacquistò<br />

il colore e le proporzioni normali all’aria di<br />

Baddhevrùstana. È rimasta solo qualche traccia ancora<br />

visibile agli zigomi, e nell’animo il ricordo dolente che<br />

mi prude ancora.<br />

Fino ad allora mio padre non aveva mai preteso che<br />

producessi materialmente. Gli bastava che io lo guardassi<br />

con attenzione mentre svolgeva le sue faccende.<br />

Anche quando mungeva me ne ero stato sempre fuori e<br />

avevo sempre ascoltato lo scrosciare del latte nel suo<br />

secchio. Di solito avevo sempre fatto la guardia sul varco<br />

del chiuso in modo che le pecore non scappassero.<br />

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