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Padre padrone - Sardegna Cultura

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Ricordalo... Te lo ritornerò il piatto... non ti preoccupare.<br />

Così i pastori trascorrevano i giorni avvelenati come<br />

vespe nel vespaio scosso e le notti insonni appostati,<br />

con il fucile spianato o sul chiuso per difendersi il pascolo<br />

o il gregge mentre si ruminava la sua pastura. Di<br />

notte uno aspettava che il sonno vincesse l’altro in una<br />

gara estenuante incessante, perché potesse chiudere le<br />

pecore nel pascolo altrui.<br />

Di giorno sbrigavano i lavori agricoli per le provviste<br />

di casa. In paese non ci potevano andare quasi mai.<br />

Quelli che avevano pascoli e gregge in proprio potevano<br />

concedersi qualche capatina di giorno, ma raramente.<br />

I servi pastori o mezzadri pastori ogni quindici, venti<br />

giorni, se avevano un buon <strong>padrone</strong>. Quasi tutti erano<br />

scapoloni. Non avevano il tempo per conoscere e<br />

conquistare una ragazza.<br />

Gli sposati dopo lunghe e penose peripezie, si dovevano<br />

limitare a ustare le loro mogli solo di sfuggita. I<br />

giochi e le danze sui loro talami erano frettolosi mentre<br />

il gregge restava incustodito. I pastori in proprio, con il<br />

barbone ispido e nero, potevano concedersi almeno<br />

una volta la settimana di danzare alla svelta i loro coiti<br />

sui letti.<br />

Thiu Antonìccu, che pure era pastore in proprio,<br />

quando gli capitava, raramente, di andare a Sìligo, lasciava<br />

il suo ovile in fretta. Scrollava le gambe addosso<br />

al somaro e lo incitava alla corsa con il nodo alla gola e la<br />

libidine addosso. La bestia filava veloce sottoposta a un<br />

trotto disperato, ai sussulti e al prurito della “siccità”<br />

sessuale del suo <strong>padrone</strong>. A metà strada il trotto diveni-<br />

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va più concitato. Nell’ultimo chilometro il trotto diveniva<br />

corsa sfrenata. Finalmente giungeva sotto casa sua.<br />

Scendeva di scatto. Legava il somaro all’anello e lo abbandonava<br />

lì stanco e carico di tutto, sudato ed ansimante.<br />

Entrava in casa e cercava la moglie. Durante la<br />

danza del letto non esisteva più nulla: le pecore, i banditi,<br />

i chiusi di pascolo sparivano dalla sua mente. Si scatenava<br />

la bufera fischiando per la stanza. Grandinava e<br />

fioccava in abbondanza. La natura si sfogava e ritornava<br />

il sereno. E una volta spenta la sua sete sul letto scosso e<br />

disfatto dal ciclone di Eros, le pecore, il somaro rimasto<br />

fuori sotto il basto con i bidoni del latte, la legna e la bisaccia,<br />

gli ritornavano a comparire. – Povera bestia!... Il<br />

latte!... La legna!... Se mi hanno rubato qualcosa!...<br />

Tutto soddisfatto, sfebbrato, con il volto raggiante e<br />

ricomposto andava a scaricare la bestia, spesso tra il<br />

mormorio dei passanti: il somaro sotto carico legato all’anello<br />

parlava chiaro a tutti. Ritornato in sé, si faceva<br />

il barbone e si sentiva un uomo anche lui. Fresco, umore<br />

cristallino e cervello pronto a pensare alle cose.<br />

Non era un’eccezione. Era malattia dei pastori. Thiu<br />

Diddhìa faceva lo stesso. Lasciato l’ovile, quando veniva<br />

il suo turno per recarsi in paese, incitava il suo somaro<br />

al trotto più concitato.<br />

Anche lui arrivato in paese, soffocato dalla smania,<br />

non riusciva mai a scaricare la bestia. Si tuffava in casa.<br />

Si avventava sulla moglie. La mordeva tutta. La succhiava.<br />

La stringeva quasi la volesse strozzare. Accecato<br />

e contorto dalla smania, si scagliava contro gli abiti.<br />

Se li toglieva affannosamente con un solo gesto, come<br />

se fossero tutto un unico pezzo, scaraventandoli alla<br />

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