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Padre padrone - Sardegna Cultura

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la mia gente. Nella mia mente però era più viva di sempre.<br />

E fu come se il pullman dentro di me stesse trasportando<br />

tutte quelle immense querce: le rocce e le valli:<br />

Baddhevrùstana con le sue greggi e il loro sferraglio familiare<br />

a ogni pastore: l’orizzonte e il cielo. Tutto era<br />

diventato ricordo indelebile.<br />

Tra la rabbia ed il pianto, tra l’odio e l’amore, tra il<br />

sorriso e le lacrime, maledicemmo la terra sarda come<br />

se stessimo lasciando veramente la nostra prigione.<br />

E nella nostra beata ignoranza imprecavamo contro<br />

chi non ci aveva mai fatto male, contro la terra che ci<br />

aveva nutrito e contro le intemperie che l’avevano fecondata.<br />

Noi non conoscevamo altro fattore responsabile del<br />

nostro male. Il nostro vero avversario non lo potevamo<br />

ancora conoscere. E dal pullman che si snodava lungo<br />

la discesa e le pianure, di tanto in tanto, pronunciavamo<br />

l’ormai famosa frase, divenuta quasi rituale per gli<br />

emigranti: – Addio, querce di <strong>Sardegna</strong> (Adiu chercos<br />

de Sardìgna).<br />

Giunti a Sassari, a me e a Gigi accadde una cosa inaspettata,<br />

tanto spiacevole quanto poi doveva riuscirmi<br />

fortunata. All’ufficio emigrazione i nostri documenti<br />

non erano in regola. E il nostro imbarco, previsto a<br />

Porto Torres, non fu possibile.<br />

In un primo momento ci colpì la disperazione. Di colpo<br />

tutti i nostri progetti naufragarono e si sciolsero come<br />

ghiaccio al fuoco. Fu una cosa brutta. Ci eravamo<br />

già sentiti uccelli con la nostra libertà. Le nostre ali però<br />

non funzionarono, e non potemmo spiccare il volo.<br />

E come cani castrati a fresco di fronte al <strong>padrone</strong>, ci<br />

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toccò anche osservare il volo degli altri compagni convenuti<br />

a Sassari dai vari centri.<br />

– Cosa è successo esattamente, Gigi?<br />

– Maaa... Non lo so!<br />

– Che ti ha detto quella persona.<br />

– Ma, nulla. Credo che tuo padre non ti abbia dato<br />

il consenso. Tu sei minorenne.<br />

– Ma tu, tu sei maggiorenne.<br />

– He! Lo so! Avranno fatto di tutto per non farmi<br />

partire. Mio padre conosce thiu Pedru. Sai com’è!<br />

– Ma che razza di scherzo è questo? Ora debbo ritornare<br />

a Baddhevrùstana. Tu te ne freghi! La tua famiglia<br />

risiede a Sìligo e almeno la sera ti puoi vedere la televisione,<br />

uscire con gli amici...<br />

– E tu non puoi venire a Sìligo la sera? Vieni in bicicletta.<br />

– Eh, una volta la settimana. Mio padre, di più non<br />

mi farebbe venire. Io me ne vado servo pastore. Almeno<br />

al <strong>padrone</strong> glielo potrò pretendere di farmi venire<br />

in paese una volta la settimana. Glielo dirò chiaro e<br />

tondo ad Abramo. Mica sono un macigno, io.<br />

Così solo dopo cinque ore dalla partenza o per uno<br />

scherzo della situazione o per volere dei nostri genitori,<br />

dovemmo ingoiarci a ritroso quel salsiccione salato<br />

della strada che avevamo maledetto e rivedere tutti i<br />

punti dei campi che avevamo insultato gridando addio<br />

come se con quelle terre non avessimo avuto più a che<br />

fare. Sul pullman che ci riportava a Sìligo nell’ironia<br />

della sorte, seduto sul sedile mi rivedevo, con soggezione,<br />

di nuovo i campi insultati poco prima. Fu uno<br />

scoramento. E le ingiurie che vi lasciai la mattina me le<br />

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