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– O compà! – fece Antonio.<br />
– Che c’è?<br />
– Entriamo dentro la capanna e vediamo chi fa prima<br />
a farsi una sega. L’altra volta aveva vinto Baìngio, ma<br />
ora voglio vedere!<br />
– Andiamo, – disse Juànne, – oggi vi sfido tutti.<br />
Si entrò nella capanna con tutta la combriccola. Ci<br />
mettemmo a culo per terra disponendoci a cerchio attorno<br />
il muro circolare della capanna! Tutti i più grandi<br />
si sbraghettarono tra lo stupore dei più piccoli che come<br />
me non sapevano ancora cosa stessero per fare.<br />
Io feci lo spettatore imbarazzato come altri due o tre<br />
della mia età o anche più piccoli. La stessa soggezione,<br />
però, ci impediva di allontanarci. Così dovemmo assistere<br />
alla gara che stava incominciando.<br />
– Siamo pronti... Che nessuno parta prima.<br />
– Non ci giuoco... Tu sei partito prima... Fermati!<br />
– Va bene! Incominciamo da capo!<br />
– Via!<br />
Tutti si masturbarono a gara in quella scomoda posizione<br />
almeno per un mezzo minuto. Poi si levarono<br />
delle grida contrastanti.<br />
– Ho vinto io...<br />
– Cosa hai vinto tu? Io ho fatto prima! Ho alzato la<br />
mano prima di te!<br />
Due giorni dopo il babbo fece ritorno a Sìligo e mi<br />
picchiò, sonoramente. Mi riportò all’ovile e rimasto solo<br />
tra le pecore volli fare l’esperimento che Tore e compagni<br />
mi avevano messo in testa. Mi accasciai dietro un<br />
cespuglio al riparo dal vento e incominciai a giocolarmi<br />
la bestiolina. Con mio grande piacere subito mi venne<br />
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un dolce pruritino, tanto che mi distesi per terra a pancia<br />
all’aria quasi svenuto. Beato in mezzo all’erba. Ripetei<br />
l’esperimento dopo tre o quattro minuti: la stessa<br />
beatitudine in quel silenzio profondo dove solo le sonaglie<br />
delle pecore mi ricordavano di tanto in tanto che<br />
ero un pastorello. In tutto il pomeriggio ho ripetuto la<br />
faccenda almeno venti volte, ammacchiato qua e là, a<br />
seconda del pascere delle pecore. Finalmente a meno<br />
di sei anni e solo dopo tre mesi di pastorello avevo trovato<br />
l’unico vero sollazzo della solitudine. Da quel giorno<br />
fu sempre la solita storia. Quando non avevo null’altro<br />
da fare, entravo nei cespugli prediletti e le mie trenta<br />
quaranta seghettine al giorno non me le toglieva nessuno.<br />
Il babbo continuava comunque a ricondurmi a<br />
Sìligo almeno una volta la settimana. Ne approfittavo<br />
per mettermi con la solita combriccola. Una volta, stavamo<br />
facendo un gioco molto bello, sentii il richiamo<br />
del babbo all’ora della partenza. Allora scoppiai nel<br />
pianto più dirotto e belai più del solito sbattendo i piedi<br />
per terra. Ancora non avevo contratto la soggezione<br />
alla patriarcalità. Ma mio padre, quella volta, forse perché<br />
stufo di ricorrere ai suoi zuccherini o perché convinto<br />
che fosse venuta l’ora di attuare il massimo rigore<br />
nell’educazione selvaggia ed agreste, passò improvvisamente<br />
dal paterno al patriarcale. Mi rincorse e mi<br />
picchiò, alternando gli schiaffi ai colpi di bastone e ai<br />
calci che tirava alla rinfusa, finché nella disperazione<br />
del dolore mi uscì di bocca: – Non piangerò più... Vengo<br />
con te...<br />
Tutto trafelato, con il livore in faccia, afferrò la fune<br />
del somaro. Mi aggavignò e mi sbatacchiò in groppa<br />
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