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ia per allora aveva risparmiato da quel terribile esodo<br />
oceanico. Fu così un pianto accorato e corale. Il grido<br />
di un popolo sconvolto si levò nell’aria che non aveva<br />
mai potuto accogliere le sue risate e le sue gioie. Tutti si<br />
stringevano. Genitori e figli, amici e compagni si abbracciavano.<br />
Non esistevano più né odi né litigi. Le brighe<br />
e le zuffe, gli insulti e le percosse che spesso si eran<br />
date in campagna per difendere il proprio pascolo, svanirono<br />
come per incanto di fronte alla sventura. C’era<br />
posto solo al lamento e al dolore. Fu come se tutti volessero<br />
far la pace.<br />
Solo gli emigranti, orgogliosi e fieri (al pari dei padri),<br />
trattenevano a stento le lacrime che i loro cervelli<br />
piangevano solo con gli occhi del cuore. I loro occhi<br />
dolenti non potevano piangere davanti alle loro madri.<br />
Anzi dovevano emanare una luce di contentezza.<br />
Il volere della storia però, era inflessibile. Essi lo sapevano<br />
e il loro imperativo era emigrare: andar via dalla<br />
<strong>Sardegna</strong> per far fortuna altrove.<br />
Finalmente si udirono le trombe del pullman. Spuntò<br />
dalla curva e in un baleno s’immerse in tutta la sua<br />
lunghezza nella folla concitata della piazza. Il pullman<br />
eccitò maggiormente gli animi: il tempo stringeva inesorabilmente.<br />
Quella mattina, però, vi sostò più del solito.<br />
La folla doveva farsi i funerali: la funzione non era<br />
finita ancora e ritardava la partenza. La popolazione<br />
sconvolta voleva rinviare almeno di un attimo la partenza<br />
dei propri sventurati. Il pullman prima di giungere<br />
a Sìligo naturalmente, lungo il suo percorso, aveva<br />
fatto il pieno di emigranti nei vari paesi portandosi il<br />
pianto di mezza <strong>Sardegna</strong>. E gli emigranti degli altri<br />
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centri naturalmente non volevano far notare il proprio<br />
pianto a quelli di Sìligo. Vincevano il dolore ostentando<br />
una falsa baldanza.<br />
Il fattorino chiuse gli sportelli e così la bara fu chiusa<br />
anche per gli emigranti di Sìligo. La bara finalmente si<br />
scosse. Si mise in moto e si fece largo separando il pianto<br />
dal dolore e il dolore dal pianto: i figli dai padri e il<br />
popolo dal popolo. Un altro boato di urla concitate di<br />
età diverse e di emozioni diverse si mescolò ancora al<br />
turbine del dolore. Raggiunse il pullman come per fermarlo.<br />
La rabbia degli emigranti però era più intensa<br />
del dolore di Sìligo. E la popolazione tra il pianto generale<br />
ebbe solo la consolazione di vedere le mani agitate<br />
fuori dal finestrino della sepoltura comune. Quelle mani<br />
che divenivano sempre più sottili consumandosi e<br />
scomparendo nell’infinito, nel loro triste e desolato futuro<br />
inesorabile, nelle nuove tanche senza querce e senza<br />
uccelli, nel loro tetro cimitero del silenzio cruento<br />
delle fabbriche che li attendevano nell’Oceania.<br />
I funerali finalmente erano finiti e quasi tutti seguendo<br />
le donne sotto gli scialli neri, si rintanarono nelle case,<br />
lasciando la piazza come quando si lascia il cimitero<br />
dopo avervi accompagnato un congiunto morto nel fiore<br />
degli anni.<br />
Queste rievocazioni nel loro silenzio riflessivo mi rapivano<br />
al punto da farmi rivivere veramente tutte quelle<br />
scene. Ora che per un giovane sano e robusto come<br />
me era necessario emigrare se non venivo assorbito nelle<br />
forze dell’ordine. E questa necessità sopraggiungeva<br />
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