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Padre padrone - Sardegna Cultura

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sangue. Le pulci che avevo addosso imbrattavano i miei<br />

indumenti con il loro sterco: era la misera fine del mio<br />

sangue succhiato digerito e cacato beatamente dagli<br />

insetti.<br />

Così ogni volta che mi cambiavo, nei miei indumenti<br />

a chiazze di sangue, si poteva leggere il loro bivacco e<br />

l’ematografia stercoraria del mio martirio notturno e<br />

quotidiano. E nel nostro mondo civile mentre ai pastori<br />

mancava il pane quotidiano, le pulci avevano anche<br />

quello notturno.<br />

La notte, quando ci si distendeva sulla stuoia (in sa<br />

udijèdda), le pulci uscivano a pascere le loro valli e le loro<br />

pianure più ubertose. Scorrazzavano nel mio corpo<br />

contendendosi i punti in cui la pelle era più vulnerabile<br />

e il sangue usciva più facilmente e più gustoso.<br />

Prendere sonno in tali condizioni era difficile. Addosso<br />

sentivo i morsi, le succhiature, le loro gambuzze<br />

e i loro turbinosi spostamenti per cambiar “pastura”.<br />

Ora sul petto, ora sulle spalle, sotto le ascelle o alle costole,<br />

a seconda del loro capriccio e del loro appetito.<br />

Mi rivoltavo continuamente e nel buio della capanna<br />

me le immaginavo succhiare e mi dibattevo quasi me le<br />

volessi scuotere di dosso. Le pulci però conoscevano<br />

bene i loro prati fioriti e le mie contorsioni, forse, non<br />

facevano altro che stuzzicare la loro fame insaziabile.<br />

Disteso sulla stuoia tra il buio che vinceva la debole luce<br />

del fuoco morente della capanna, mi immaginavo le<br />

loro cene, i loro brindisi, e i loro sollazzi: i loro giochi<br />

amorosi.<br />

Era una cosa disgustosa e spesso scattavo in brividi di<br />

repulsione. E ogni sera prima che il sonno vincesse<br />

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questo abominevole martirio, mi sentivo a un tempo<br />

mensa e pastura di questi intrusi luridi ghiottoni, che<br />

nonostante li nutrissi mi pagavano cacandomi a gettito<br />

continuo. Per fortuna ero ancora piccolo e appena mi<br />

coricavo il sonno mi avvinceva subito. Spesso, anzi, la<br />

sera ero molto stanco e quando mio padre mi stendeva<br />

la stuoia e mi copriva con una coperta logora, mai lavata<br />

e con i panni che metteva sotto il basto del somaro<br />

(cun sos bàttiles de s’àinu), il sonno mi vinceva di colpo<br />

e le pulci uscivano dalle loro tane e potevano così spassarsela<br />

sul mio corpo addormentato. Finché mio padre,<br />

quando aveva già munto le pecore ed era già pronto<br />

per partire a Sìligo, mi svegliava all’alba e mi dava le<br />

sue disposizioni.<br />

Questo era il supplizio che dovevamo subire ogni<br />

notte, io e mio padre. A questa situazione si cercava di<br />

reagire in qualche modo. Il babbo metteva in luce tutta<br />

la sua esperienza e si richiamava ai suoi anziani. Quando<br />

c’erano le belle giornate, sin dalla mattina, stendeva<br />

le coperte, la stuoia e gli stracci vari con cui ci si copriva,<br />

sui muri o sui cespugli vicini alla capanna e li sbattevamo<br />

con i bastoni, alla meglio. Le lasciavamo al sole<br />

per gran parte del giorno. La sera, prima che il giorno<br />

morisse, iniziavamo l’operazione anti-pulce. Le coperte<br />

le passavamo punto per punto: maglia per maglia e<br />

piega per piega, dove si riparavano.<br />

– Stai attento prima di acchiapparle. Saltano e si nascondono<br />

tra le pieghe (brìncana e si costóini in sas pijas).<br />

Sono furbe, – mi diceva, – e appena smuovi la co-<br />

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