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zi come Nanni, mietevano sin dai dieci anni così bene<br />
come io a otto sapevo fare il pastore. Era il suo mestiere.<br />
E ora la mietitura era lì anche per me. Mio padre me<br />
l’avrebbe insegnata sempre con due o tre lezioni fugaci<br />
e cicloniche.<br />
Toccò al grano de sa Pedròsa inaugurare l’impresa.<br />
La mattina del giorno di San Pietro piombammo sul<br />
campo, vicino a Sìligo, armati di falci. Giunti sul grano<br />
per mio padre iniziò la battaglia, per me la lezione. In<br />
fretta e in furia mi insegnò subito come fare. Come tenere<br />
la falce. Come tagliare le spighe e tenerle in mano.<br />
Come fare la manciata e legarla e come fare i covoni (comènte<br />
la incrabistàre e comènte fàghere sos mannùjos).<br />
Non era passata mezz’ora dall’inizio della lezione che<br />
lui pretendeva fossi già divenuto un mietitore, quasi lui<br />
fosse il creatore che avesse la facoltà di infondermi in<br />
un attimo tutta la sua esperienza e mi rendesse simile a<br />
lui con un balenio del suo cervello.<br />
– Tu non sei buono a nulla. Nanni sa mietere da quando<br />
era piccolo. E ora è capace di legarti dentro il covone,<br />
insieme alle manciate. Smidollato. Non vedi che ti<br />
cadono tutte le spighe che tagli? Sei un disastro.<br />
– Non ci riesco perché non l’ho mai fatto.<br />
– Così devi fare! Uhmmmmm! Hummmmm! Così!<br />
Cosìì! – infuriava tondendo furiosamente le stoppie.<br />
– Prova! Su! Su!<br />
Io mi sforzavo al massimo, fino allo spasimo. La cosa<br />
non era facile. Sotto la tempesta, poi, impossibile. E<br />
quando si accorse che le spighe che tagliavo non riuscivo<br />
a tenerle tutte per mano e che molte mi cadevano tra<br />
le stoppie tosate, la sua bocca tuonò di nuovo.<br />
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– Rammollito! Poltrone! Mangiapane a tradimento!<br />
Mangione (budegòne)!<br />
Con quanta rabbia aveva in corpo mi faceva vedere<br />
nervosamente ancora una volta come mietere. Evidentemente,<br />
preoccupato, per altre ragioni, si angosciava<br />
ancora di più per il tempo che stava perdendo ad insegnarmi<br />
a fare le manciate. Che io sapessi mietere dopo<br />
mezz’ora, purtroppo, non era possibile. È un’arte che<br />
si apprende con il tempo. Come al solito, la lezione da<br />
rabbiosa si fece feroce. Come se le spighe che mi cadevano<br />
fossero una parte del suo sangue e avesse paura di<br />
essere dissanguato, perse la calma. Rituonò con le sue<br />
bestemmie quasi per suscitare il temporale delle sue<br />
botte. Subito fischiò la bufera. Dietro di me sentii il<br />
turbine. I nembi s’addensarono e l’uragano scoppiò<br />
subito. Fu la grandine dei suoi colpi. Mi percosse atrocemente.<br />
Gli schiaffi si alternavano ai pugni sull’aiuola<br />
che avevo mietuto, mentre i suoi calci uno mi atterrava<br />
e l’altro mi rimetteva in piedi per ricolpirmi con le mani.<br />
Uno dei suoi pugni, purtroppo, mi prese alla nuca.<br />
Il buio mi sommerse. Vidi le stelle, un turbinio di luci,<br />
di bagliori e caddi per terra stramortito, privo di sensi<br />
sulle stoppie. Mi lasciò lì finalmente; lui si sfogò mietendo<br />
covoni a catena. Se li lasciava in piedi alle spalle e<br />
con la loro testa foltissima di ariste sembravano dirmi<br />
continuamente: – I tuoi covoni non nascono! Dài che<br />
anche tu diventerai come tuo padre! Qui ce ne sono<br />
passati di ragazzi ad imparare a mietere. Poi son ripassati<br />
mietendo come atleti. Messa, Gavì, messa! (Mieti,<br />
Gavì, mieti!).<br />
Si prese in affitto un’altra tanca vicina. Era boscosa e<br />
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