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Padre padrone - Sardegna Cultura

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inesorabile soprattutto dopo che le emigrazioni in Canada<br />

e in Australia avevano rotto il ghiaccio, avevano<br />

indicato un varco. Dal ’55 si emigrò in continuazione.<br />

Non si piangeva più il distacco come prima. L’emigrazione<br />

divenne abituale e perse quel senso tragico e dolente<br />

anche perché si emigrò più vicino, in Europa. Addirittura<br />

ora emigravano persino le ragazze.<br />

Quello che restava era un mondo già mutilato. Solo i<br />

vecchi, i bambini e lo scarto fisico e psichico che ne risultava<br />

in seguito alle selezioni delle emigrazioni e delle<br />

forze dell’ordine, si aggiravano in quei campi privati<br />

dei giovani sani. Durante gli ultimi due anni potevo notare<br />

questo stato pietoso di un mondo invalido. Vecchi<br />

malati, storpi, gobbi e paralitici, consumati dall’età e<br />

dalla natura, rigati e rugosi dagli anni e dal male, popolavano<br />

i campi come larve umane, sfidando le intemperie<br />

della natura. Per le strade dondolati energicamente<br />

dalla vigoria dei loro somari, si vedevano vecchi di settantacinque<br />

ottanta anni, dimezzati dalle fatiche ansimanti<br />

e morituri che svolgevano regolarmente la loro<br />

regolare attività fino all’ultimo respiro.<br />

– L’altro ieri, – mi sentii dire un giorno, – è morto<br />

thiu Pepe. L’hanno trovato morto per il campo. Evidentemente<br />

non ce l’ha fatta a raggiungere la capanna.<br />

Il freddo della notte, poi, lo avrà congelato. Poveretto.<br />

Aveva ottant’anni e ha conosciuto solo il culo della pecora.<br />

Ora avevo 19 anni e sentivo più forte che mai la tragedia<br />

che incombeva.<br />

– Io non voglio fare la fine di thiu Pepe, morto dal<br />

gelo. Lo potevano divorare anche i cani, i corvi, gli av-<br />

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voltoi. Ahh! No! Io me ne vado via di qui. Ma nei carabinieri<br />

non ci posso andare, come hanno fatto quasi<br />

tutti i miei cugini. Loro sono tutti alti. Qui conta anche<br />

la statura. Io sono basso. E poi ci vuole la V elementare<br />

e io non so né leggere né scrivere. Qui bisogna emigrare.<br />

Eh, là non conta la statura, no! Basta che tu sia sano<br />

e lavori!<br />

Così nell’autunno del 1957 venne l’ora anche per me.<br />

Con un amico di Sìligo mi balenò l’idea di emigrare in<br />

Olanda a fare il minatore.<br />

Mio padre mi mise in guardia circa i pericoli delle miniere.<br />

Spesso anche da altri avevo sentito dei cruenti<br />

disastri dei nostri emigrati nelle miniere della regina<br />

Giuliana. Il grisou lo conoscevano anche i pastori e le<br />

querce della <strong>Sardegna</strong>. Sui campi si parlava spesso degli<br />

emigranti, della loro fortuna e delle loro disgrazie. E<br />

rimanevo perplesso. Certe notizie mi infilzavano il cervello<br />

e mi calavano nelle viscere come braci accese. Ma<br />

quando nei boschi e negli sterpi scatta la molla repulsiva<br />

contro l’ambiente, l’emigrazione diventa un’ossessione:<br />

ti martella continuamente il cervello.<br />

Se sei sano, robusto e maggiorenne, non c’è nulla che<br />

possa trattenerti. Restare significa vegetare a mala pena,<br />

tragicamente, come erba o pianta condannata a crescere<br />

nel dolore a causa del giocoso capriccio del vento che<br />

un giorno scaraventò i semi da cui germogliarono nel<br />

terreno meno adatto. In quella selva tu ti senti come<br />

quelle erbe costrette a crescere sui muri o sui burroni in<br />

posizione tragica e pietosa, pendenti ora da una parte<br />

ora dall’altra: scosse, tempestate da quel vento che ha<br />

affidato i semi sventurati al suo gioco. Spesso là mi sono<br />

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