You also want an ePaper? Increase the reach of your titles
YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.
Nonostante avessimo salvato anche i buoi con cui aravo<br />
alla giornata, in casa si accusò il colpo.<br />
In molte altre famiglie fu il disastro.<br />
– Mi è morto il gregge. Non so come fare per pagare il<br />
fitto della tanca. I proprietari vogliono il fitto pattuito.<br />
Per loro non esistono annate brutte.<br />
– Proprio così. Loro ti dicono: “La mia tanca te l’ho<br />
affittata per tanto e tanto deve essere. Ti sei arricchito<br />
nelle annate buone, ora mi dai almeno il fitto.” Sono incoscienti,<br />
spietati questi padroni: vogliono il nostro<br />
sangue.<br />
– Il nostro sangue! E quale sangue? Io non ne ho più.<br />
L’annata me lo ha succhiato tutto. Voglio vedere cosa si<br />
prende il <strong>padrone</strong> al posto del fitto della tanca. Mi è<br />
morto tutto quel bestiame che mi ero comprato facendo<br />
il bracciante, zappando le vigne a cottimo, mietendo<br />
tante stagioni nella Nurra. Ora sono nullatenente.<br />
Me ne vado servo pastore. E quello che mi danno me lo<br />
tengo io, me lo tengo.<br />
– No! Io farò il servo! D’accordo! Il mio sporco <strong>padrone</strong>,<br />
che non mi vuole fare nemmeno uno sconto, lo<br />
pagherò. E mi sentirò libero.<br />
– Anch’io. Le pecore che sono riuscito a salvare, basteranno<br />
per il fitto della sua tanca. Me ne andrò servo<br />
pastore o all’estero, almeno nessuno mi dirà nulla.<br />
Fuori di Sìligo nessuno mi dirà: “da <strong>padrone</strong> sei ritornato<br />
servo.”<br />
– Si capisce. Anch’io farò così. All’estero. Ho sentito<br />
che vogliono braccianti in Australia. Bene. Me ne andrò<br />
lì e pagherò. Devo salvare l’onore della famiglia.<br />
– Servo <strong>padrone</strong>, bracciante o all’estero, fa lo stesso.<br />
162<br />
Pagherò questo sporco <strong>padrone</strong>. Gliel’ho detto: “Fammi<br />
uno sconto.” Macché. Lui con il sigaro in bocca sbuffando<br />
come una locomotiva sghignazzava le sue risate:<br />
“La mia tanca vale tanto e tanto voglio. Dell’annata non<br />
me ne frega una cicca.” È un figlio di puttana.<br />
– Eh! Vi state a preoccupare tanto. Male che vada faremo<br />
i banditi.<br />
Sin dalla giovinezza mio padre aveva incominciato a<br />
piantare un oliveto a Baddhevrùstana. Aveva sconfitto<br />
la natura, distrutto la selva e le querce secolari, riducendole<br />
a carbone (a cheas de cavvòne) e dissodato un<br />
terreno vergine. Con amore viscerale, lo aveva bonificato<br />
estraendone le pietre che ordinava e componeva<br />
in mucchi (chi ponìada in moridìnas) estirpandone la<br />
gramigna. E in mezzo al bosco millenario quale la natura<br />
lo aveva creato spontaneamente, lui creò quest’isola<br />
dell’arte umana lungo un rettangolo di sei ettari.<br />
Io lo conobbi già tracciato. Circoscritto dai muri su<br />
cui da ogni lato faceva capolino ancora la selva che con<br />
il suo rigoglio invadeva, quasi se la volesse inghiottire,<br />
l’aiuola del lavoro di mio padre. I rovi e la macchia, le<br />
querce che sovrastando il fitto sottobosco testimoniavano<br />
l’antica vegetazione. Con maestria ed assiduità,<br />
mio padre aveva tracciato i filari mediante fossati interminabili,<br />
ora tra l’argilla, ora sulla terra nera, ora sulle<br />
pietre e vi aveva piantato gli olivastri a distanza geometricamente<br />
regolare senza servirsi mai del metro, ma<br />
solo del buon senso, dell’occhio e dei passi. Nella loro<br />
lunghezza i filari venivano intercalati ed evidenziati da<br />
altre piante da frutto più precoci (peri, meli, fichi) che<br />
pagavano la zappatura dell’oliveto ancora infeconda.<br />
163