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Gli avevo sempre condotto le pecore alla mandra fugandole<br />
come mi aveva insegnato. Spesso, anzi avevo<br />
imparato a farle venire attirandole con dei versi tipici. E<br />
ai miei eh, eh!eh, lè, lè!lè, lè!lè, lè!dààà!ddddd!eh,eh!<br />
eh, eh!beh!lè, lè!lè, se erano sazie mi venivano fino ai<br />
piedi e compiaciute dalle mie modulazioni fatte ad arte<br />
e accompagnate dai tipici fischi, si raccoglievano spontaneamente.<br />
E brucando gli ultimi steli d’erba si introducevano<br />
nella mandra da sole. Il babbo si metteva al<br />
varco e faceva scrupolosamente la computa giornaliera.<br />
Nella mandra le pecore si disponevano in maniera abitudinaria<br />
quasi ognuna avesse il proprio posto, parallele<br />
a se stesse: l’una a fianco all’altra e perpendicolari alla<br />
siepe. Il modo tipico della mungitura logudorese, tutta<br />
diversa da quella barbaricina. La mandra come in tutte<br />
le parti dell’isola era sempre di forma ellittica, ma la sua<br />
disposizione faceva sì che al centro si creasse uno spazio<br />
geometricamente simile al recinto stesso. Lo spazio su<br />
cui mio padre faceva perno passando le pecore una per<br />
una. Mi era sempre piaciuto osservare la disposizione<br />
delle pecore e mio padre che stava chino con la testa sulla<br />
coda della pecora per tapparle il culo alla maniera logudorese.<br />
Era l’unico espediente per evitare di farsi cacare<br />
nel secchio.<br />
Il cane dopo aver percorso più volte la coltre di lana<br />
che le pecore formavano con la loro disposizione, una<br />
accanto all’altra, lungo la siepe, scendeva a bersi la<br />
porzione del latte che gli spettava (come cane pastore),<br />
e risaliva sul suo trono, dove si crogiolava sdraiato sulla<br />
schiena lanuta delle sue due pecore preferite. Fuori,<br />
nel silenzio, mi ero sempre annasato l’alito del rumine<br />
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delle pecore e osservato il movimento pendolare delle<br />
loro mandibole: lo scendere e il risalire lungo il collo<br />
del bolo. Mi ero sempre sentita la beatitudine dei loro<br />
rutti sonanti e le scapezzolate delle poppe sul secchio<br />
di cui seguivo lo scrosciare sulla schiuma calda. Mi dicevano<br />
il crescere del volume del secchio attimo per<br />
attimo. Mi dicevano puntualmente quando dovevo<br />
porgere il bidone sulla siepe in cui il babbo vi versava il<br />
latte.<br />
Dal giorno di quella tremenda punizione non potevo<br />
più starmene impalato lì al varco a sentirmi e gustarmi<br />
l’odore del rumine. Mio padre pretese che anch’io<br />
svolgessi la mia parte. Dovevo ficcarmi in testa che ormai<br />
all’ovile eravamo in due e che anch’io ero un pastore<br />
fatto. E per togliere ogni dubbio mi insegnò subito<br />
l’unica cosa importante che ancora mi mancava per essere<br />
un vero pastore. Mi insegnò a mungere. Era necessario.<br />
Fece fare un secchio anche per me.<br />
La prima volta che entrai nella mandra le pecore si<br />
strinsero una all’altra. Si spaventarono. Come mungitore<br />
non mi conoscevano e alcune saltarono persino la<br />
siepe. Ci volle tutta l’esperienza del babbo per ricondurre<br />
il gregge e ricomporlo alla calma.<br />
Io avevo solo otto anni, ma la mungitura logudorese<br />
si presta anche ai bambini. Mio padre mi fece abbassare<br />
ed assumere la posizione dietro la pecora più mansueta<br />
del gregge, quella di più facile mungitura (sa pius<br />
ladìna). Mi fece incosciare il secchio con il fondale sotto<br />
il culo. E mi insegnò come si doveva tenere la mammella<br />
e come spremere i capezzoli con le dita bagnate o<br />
con la saliva o con la schiuma del latte già munto.<br />
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