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dere abbastanza e conoscevo già quasi tutte le varietà<br />
degli uccelli del posto. E lui non poteva crearne degli<br />
altri per intrappolarmi dolcemente. Inoltre razionava<br />
sempre più la mia permanenza a Sìligo e naturalmente<br />
non poteva trovare né inventare nuovi zuccherini per<br />
attirarmi in campagna. Se nel primo periodo la curiosità<br />
della campagna e della natura mi distoglieva dalle<br />
distrazioni che mi offriva Sìligo, ora la monotonia della<br />
vita agreste suscitava in me la nostalgia del mondo che<br />
avevo lasciato.<br />
Così si attuarono il distacco dall’ambiente paesano,<br />
l’allontanamento forzato dalla scuola e la conseguente<br />
“deportazione” a Baddhevrùstana a otto chilometri da<br />
Sìligo anche se tra uno zucchero e l’altro li stavo accettando<br />
per amore dei miei fratelli, che avrebbero corso<br />
il rischio di morire di fame. Ma non potei seguire mio<br />
padre passivamente. Anche se non possono far niente<br />
contro i grandi, i bambini protestano. Magari soltanto<br />
con il loro querulo pianto. Certo io non ne avevo colpa<br />
se ormai gli zuccherini del babbo non ottenevano più<br />
l’effetto desiderato. Lui, però, doveva pure svezzarmi.<br />
Già al terzo mese l’educazione divenne più severa. Mio<br />
padre passò al secondo stadio. Incominciò a lasciarmi<br />
solo con il gregge anche quando si recava a Sìligo. Ma<br />
per non farmi pesare troppo il distacco dai miei fratelli<br />
e da mia madre, continuava a portarmi in paese una<br />
volta la settimana. Ora, però, non mi rilasciava più a Sìligo<br />
e nello stesso giorno quasi sempre nella stessa mattinata,<br />
mi riconduceva all’ovile. In questo modo la mia<br />
permanenza con i miei fratelli o con qualche vecchia<br />
amicizia si riduceva a una o a due ore al massimo. Ep-<br />
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pure quel tempo bastava per rinsaldare con loro un legame<br />
di inseparabilità, per cui io non ripartivo mai senza<br />
piangere.<br />
Il babbo purtroppo ad una certa ora doveva imbastare<br />
il somaro e mi chiamava alla partenza. Dalla gioia e<br />
dal gioco, allora, passavo subito al pianto di protesta,<br />
con la vana speranza di convincere il babbo a lasciarmi<br />
a Sìligo. Io però ero un agnello da svezzare (fio un anzòne<br />
de istittàre) che mio padre doveva portare in un<br />
gregge estraneo perché non poppasse più la mamma.<br />
Era venuta l’ora che la mamma la mungesse il pastore<br />
tutta per sé e che l’agnello si nutrisse solo di erbe e di<br />
arbusti. Come un agnello anch’io belavo il mio dolore.<br />
Ma mio padre applicò tutto il rigore dell’educazione<br />
che conosceva e che anche lui forse aveva subito. Il mio<br />
pianto e i miei belati non avrebbe potuto sentirli. Una<br />
volta riuscii ad eluderlo con l’astuzia. Restai nascosto.<br />
E quando all’ora della partenza sentii il suo richiamo<br />
non uscii dal mio covo come il somaro al richiamo del<br />
<strong>padrone</strong> che lo deve imbastare. Mio padre aveva fretta<br />
di ritornare tra le pecore e non poteva spendere molto<br />
tempo a cercarmi. Allora ripartì da solo e io per tutta la<br />
sera e fino al suo ritorno potei scorrazzare con i miei<br />
compagni per Sìligo, imparare i giochi che loro conoscevano.<br />
Fu durante una di queste evasioni che mi aggregai a<br />
una combriccola di compagni più grandi di me. Mio<br />
padre non esisteva più. E mentre si scorrazzava con<br />
quegli scapestrati che quasi tutti avevano marinato la<br />
scuola come io l’ovile, ci imbattemmo nella capanna di<br />
Tore.<br />
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