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– Questo l’ho fatto e lo faccio per il bene della famiglia.<br />
– Le femmine, quasi tutte analfabete le hai esasperate<br />
nel lavoro dei campi e in pratica le hai costrette a servire<br />
sin dai quindici anni, prima a Sassari, poi a Roma e<br />
ora a Genova. Non hai fatto nulla di più del più povero<br />
bracciante del paese. Anzi, tu hai fatto qualcosa di peggio.<br />
Prendevi loro una buona parte del mensile e te lo<br />
mettevi in banca. Spesso, anzi, l’hai dato in prestito come<br />
stai continuando a fare.<br />
– Il loro mensile lo prendo per metterlo in banca per<br />
conto loro.<br />
– Per conto tuo.<br />
– Non è vero. E dato che ci siamo, ti dico che loro<br />
possiedono qualcosa, mentre tu non possiedi nulla.<br />
– Che ne sai tu? A te, certo, non ho mai mandato una<br />
lira. Sapevo che non ne avevi bisogno. Tu hai un grande<br />
debito verso di noi e non potrai mai pagarlo: siamo tutti<br />
ignoranti. E ti dico di lasciarmi, di non intralciarmi la<br />
strada ora che l’ho trovata. È inutile che cerchi di sviarmi.<br />
La mia strada è quella giusta e te lo farò vedere.<br />
Non perdere altro tempo a riaprire vecchie ferite.<br />
– Tu! Finirai male. Io non ti aiuterò. Non farò parzialità,<br />
io. Non ho fatto studiare gli altri e tanto meno, ora,<br />
potrò far studiare te. Ormai sei fuori e io non posso dare<br />
a te più che agli altri.<br />
– Con la scusa della parzialità, tu, ti sei sempre messo<br />
al coperto. Anche quando mi hai allontanato dalla scuola,<br />
dalle elementari, hai tirato in ballo la scusa della parzialità.<br />
Troppo facile: “Se incomincio a far studiare lui,<br />
dovrò poi anche far studiare gli altri.” Non te le ricordi<br />
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queste parole? Ora, io, non ti chiedo la tua parzialità.<br />
Sarebbe come se ti dicessi di ricostituire la famiglia e ridarle<br />
quello che le avresti potuto anche dare. Non ti<br />
chiedo questo. Ti chiedo solo di lasciarmi lavorare in<br />
pace.<br />
– Tu parli di lavoro. Dove è il tuo prodotto? Che cosa<br />
lavori? Tu stai rubando il pane che mangi. Qui, tu sei<br />
un ladro. Se non te ne vai un giorno o l’altro...<br />
– Finalmente l’hai detto che sono un ladro! Per fortuna<br />
che riesco a controllarmi. Diversamente...<br />
– Diversamente che cosa?...<br />
– Lasciamo perdere. Non ho bisogno dei tuoi soldi.<br />
Durante i quattro anni di naja ho risparmiato mezzo<br />
milione e se li saprò dosare mi basteranno per finire il<br />
liceo. Che non ti derubi ne puoi stare certo. Se vuoi, anzi,<br />
ti posso pagare tutto.<br />
– Non ho bisogno dei tuoi soldi.<br />
– Questo lo sapevo. Tu, però, devi capire che debbo<br />
restare qui, a Sìligo, per finire gli studi.<br />
– Io voglio che tu te ne vada via al più presto.<br />
– Tu non puoi impedirmi di starmene a Sìligo: posso<br />
anche fare a meno di venire nella casa che tu dici tua,<br />
mentre l’hai accresciuta e rifatta con il nostro lavoro. E<br />
poi, me lo sai dire come fai ad aver paura che ti possa<br />
derubare quando tu hai sprangato tutto come se a casa<br />
ci fossero i ladri veramente. Spiegamelo! Come farò io<br />
a rubarti il grano, l’olio e l’avena, quando non fai altro<br />
che rinforzare e controllare l’efficienza delle tue serrature<br />
e ascoltarti lo sferragliare delle chiavi che ti porti<br />
addosso. Le conoscerai già tutte, una per una, al suono.<br />
Che paura hai?<br />
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