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Padre padrone - Sardegna Cultura

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Inòghe mi vaghe die<br />

cantèndhe a palma doràda<br />

tue in su lettu coscàda<br />

e deo frittu che nie...<br />

Finì la rituale serenata, ma finì anche la notte e l’alba<br />

rese assurdo il canto. E tutti storditi dal sonno e dal vino<br />

nessuno ebbe il coraggio di presentarsi dai suoi in<br />

quelle condizioni. Allora ci ricoverammo nella casa disabitata<br />

di uno della compagnia. Ci buttammo alla meglio<br />

su un grosso letto in otto: uno sull’altro. E un po’<br />

per mancanza di posto un po’ per l’effetto del vino ogni<br />

tanto per la stanza risuonava il tonfo di qualcuno che<br />

cadeva dal letto accompagnato dalle risate della combriccola!<br />

Le ultime risate. Un pisolino a testa. E il tonfo<br />

di un compagno che cadde dal letto come una pera cotta<br />

ci svegliò. Io e Gigi entrammo in clima di distacco.<br />

Ricomposte le valige, si raggiunse subito la piazzetta.<br />

La solita cerimonia di pianti e di lamenti e via. Lo schiavismo<br />

agreste ci sembrava finito. L’ignoranza su tutto e<br />

del nostro futuro, ma soprattutto del fatto che i nostri<br />

padroni sarebbero stati sconosciuti a Sìligo e a noi stessi,<br />

rendeva meno dura la nostra partenza: meno tragico<br />

e doloroso il nostro distacco. Eravamo tanto ingenui<br />

che di fronte all’evento ci comportammo come bestie<br />

di fronte a un fatto mai visto e mai vissuto.<br />

Il nuovo comportamento non fu dissimile da quello<br />

di Pacifico un giorno di fronte all’incendio del nostro<br />

campo. Quando fu raggiunto dal fuoco in mezzo al fieno<br />

invece di scappare (come fanno alcuni animali, il<br />

cavallo, gli uccelli, ecc.) offrì il culo alle fiamme e si mi-<br />

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se a bombardarle con gli zoccoli già ustionati. Il fieno<br />

era poco. Gli arse sotto la pancia. Andò avanti, ma lui<br />

non si spostò di un centimetro. Ora, io, ci rido sopra a<br />

quest’assurdo calciare del somaro, ma mi rendo conto<br />

che la nostra esultanza di fronte alla partenza era anche<br />

più assurda di quei calci senza senso. Il fuoco che<br />

Pacifico calciava durò pochissimo, finché il fieno non<br />

si consumò. Il nostro fuoco, al contrario, era duplice e<br />

nella nostra partenza stavamo fuggendo quello sopportabile<br />

e calciando assurdamente quello che ci stava<br />

di fronte, anzi lo stavamo inseguendo. Corri, pullman,<br />

corri! Non potevo sapere che le fiamme di quella falsa<br />

libertà mi stessero bruciando e che io le stessi assurdamente<br />

calciando: bel Pacifico della situazione! Era incominciata<br />

anche per noi la partenza. Uno sguardo alla<br />

folla e ai tetti muschiosi di Sìligo e la montagna opprimente<br />

del mio passato parve staccarsi dal mio corpo<br />

inaridito. Un tonfo! E l’albero dello schiavismo<br />

parve cadere dietro il pullman, dietro la nostra sciocca<br />

euforia. L’unica cosa che mi dispiacque in quel momento<br />

fu il fatto che non avevo fatto in tempo a salutare<br />

il “mio” campo: il suo orizzonte, thiu Pulinàri, su<br />

Gobbe. Così tutta la realtà di Baddhevrùstana con i<br />

suoi alberi, i suoi burroni e le sue rocce, le colline e il<br />

monte con le sue creste in lontananza che tante volte<br />

venivano animati dalla mia fantasia desolata e che erano<br />

state le uniche persone amiche con cui avevo parlato<br />

a lungo nel loro silenzio, le avevo abbandonate così<br />

bruscamente, per inseguire quel fuoco. Tutto era avvenuto<br />

all’improvviso. Gigi era sceso a Baddhevrùstana<br />

in fretta e furia e non mi aveva dato il tempo di salutare<br />

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