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Padre padrone - Sardegna Cultura

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stizi tra un’aiuola e l’altra che le cavallette quasi come<br />

limite di confine risparmiavano e dimenticavano di divorare.<br />

Spesso te le vedevi arrampicare e cadere per le<br />

colline dove di solito le locuste non si calavano. Comunque,<br />

spinti da una fame che lentamente li stava<br />

portando alla morte, spesso gli erbivori si trasformavano<br />

in insettivori. Una vera tragedia che li poneva come<br />

esseri altri da sé. Spesso mi capitava di vedere Pacifico<br />

farsi scorpacciate di cavallette che divorava insieme<br />

al poco fieno che la mattina trovava ammorbidito<br />

dalla rugiada. Più impressionante era vedere le<br />

pecore in quell’inesorabile lotta contro la morte. A testa<br />

bassa e chine la mattina non trovando altro sul loro<br />

campo mangiavano un pascolo animato: la neve<br />

estiva terribile e vorace. E mentre masticavano le locuste,<br />

sembrava esprimessero quasi una sfida contro<br />

la stessa natura, contro le locuste quasi a dire: “tu mi<br />

mangi il fieno e io mi mangio te.”<br />

La gente era disperata dalla fame e i rimedi rudimentali<br />

riuscivano inefficaci contro questo flagello. Gli ortolani<br />

circoscrivevano i loro orti con paglia o fieno misto<br />

a frasche che facevano bruciare lentamente. Il fumo<br />

era un rimedio abbastanza efficace. Ma dove c’era<br />

il bestiame, questo sistema non si poteva applicare.<br />

Non restava che intervenire fisicamente. La mattina i<br />

pastori approfittando della immobilità e della fiacchezza<br />

delle locuste, imitando i maiali, cavallettavano<br />

anch’essi.<br />

Provvisti di teloni, di sacchi logori e di scope di asfo-<br />

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delo o di erica (de ischeréu o de cantentàsu), assalivano i<br />

loro campi per debellare il nemico. Dispiegavano i teloni.<br />

Agitavano le scope ululando con contorsioni nervose<br />

dei corpi. Strisciavano i piedi per terra e con azioni<br />

di disturbo vi facevano capitare le cavallette con la<br />

loro marcia lenta e con il loro volo incerto ed inceppato.<br />

Quando il telone veniva sommerso dagli insetti, lo<br />

prendevano per le cocche e avvicinandole, buttavano<br />

tutto nei sacchi, che una volta legati e caricati sui loro<br />

somari, portavano nei rispettivi comuni, dove l’amministrazione<br />

comunale per incentivarne la caccia retribuiva<br />

questi “cacciatori” in ragione dei chili che vi portavano.<br />

Tristi aurore (tristes avvéschidas). Sempre il solito<br />

spettacolo. Maiali, cani e tanti altri animali, bisce,<br />

cornacchie e volpi (colòras, corróncias e groddhes) scorrazzavano<br />

in cerca di cavallette.<br />

La risposta dei pastori, però, era una nota dolente.<br />

Gareggiavano con le bisce e le cornacchie anch’essi<br />

nella caccia riempiendo e legando, tragicamente pieni<br />

di cavallette, quegli stessi sacchi che per tante annate<br />

avevano riempito di grano o d’avena. E tutti presi dalla<br />

caccia se li lasciavano ritti dietro le spalle quasi fossero i<br />

covoni del loro raccolto sui campi dove magari avrebbero<br />

potuto mietere il grano ormai “tosato”: mietuto e<br />

trebbiato dagli insetti. Le strade erano animate dall’andirivieni<br />

dei somari che in continuazione trasportavano<br />

i sacchi ai comuni. L’opera purtroppo riusciva inutile.<br />

L’assalto dei maiali, degli altri animali, imitato ad arte<br />

dai pastori si risolveva nel nulla. Come togliere un<br />

secchio d’acqua dal mare. Le cavallette si riproducevano<br />

in modo pauroso. La terra le pullulava dappertutto.<br />

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