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stizi tra un’aiuola e l’altra che le cavallette quasi come<br />
limite di confine risparmiavano e dimenticavano di divorare.<br />
Spesso te le vedevi arrampicare e cadere per le<br />
colline dove di solito le locuste non si calavano. Comunque,<br />
spinti da una fame che lentamente li stava<br />
portando alla morte, spesso gli erbivori si trasformavano<br />
in insettivori. Una vera tragedia che li poneva come<br />
esseri altri da sé. Spesso mi capitava di vedere Pacifico<br />
farsi scorpacciate di cavallette che divorava insieme<br />
al poco fieno che la mattina trovava ammorbidito<br />
dalla rugiada. Più impressionante era vedere le<br />
pecore in quell’inesorabile lotta contro la morte. A testa<br />
bassa e chine la mattina non trovando altro sul loro<br />
campo mangiavano un pascolo animato: la neve<br />
estiva terribile e vorace. E mentre masticavano le locuste,<br />
sembrava esprimessero quasi una sfida contro<br />
la stessa natura, contro le locuste quasi a dire: “tu mi<br />
mangi il fieno e io mi mangio te.”<br />
La gente era disperata dalla fame e i rimedi rudimentali<br />
riuscivano inefficaci contro questo flagello. Gli ortolani<br />
circoscrivevano i loro orti con paglia o fieno misto<br />
a frasche che facevano bruciare lentamente. Il fumo<br />
era un rimedio abbastanza efficace. Ma dove c’era<br />
il bestiame, questo sistema non si poteva applicare.<br />
Non restava che intervenire fisicamente. La mattina i<br />
pastori approfittando della immobilità e della fiacchezza<br />
delle locuste, imitando i maiali, cavallettavano<br />
anch’essi.<br />
Provvisti di teloni, di sacchi logori e di scope di asfo-<br />
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delo o di erica (de ischeréu o de cantentàsu), assalivano i<br />
loro campi per debellare il nemico. Dispiegavano i teloni.<br />
Agitavano le scope ululando con contorsioni nervose<br />
dei corpi. Strisciavano i piedi per terra e con azioni<br />
di disturbo vi facevano capitare le cavallette con la<br />
loro marcia lenta e con il loro volo incerto ed inceppato.<br />
Quando il telone veniva sommerso dagli insetti, lo<br />
prendevano per le cocche e avvicinandole, buttavano<br />
tutto nei sacchi, che una volta legati e caricati sui loro<br />
somari, portavano nei rispettivi comuni, dove l’amministrazione<br />
comunale per incentivarne la caccia retribuiva<br />
questi “cacciatori” in ragione dei chili che vi portavano.<br />
Tristi aurore (tristes avvéschidas). Sempre il solito<br />
spettacolo. Maiali, cani e tanti altri animali, bisce,<br />
cornacchie e volpi (colòras, corróncias e groddhes) scorrazzavano<br />
in cerca di cavallette.<br />
La risposta dei pastori, però, era una nota dolente.<br />
Gareggiavano con le bisce e le cornacchie anch’essi<br />
nella caccia riempiendo e legando, tragicamente pieni<br />
di cavallette, quegli stessi sacchi che per tante annate<br />
avevano riempito di grano o d’avena. E tutti presi dalla<br />
caccia se li lasciavano ritti dietro le spalle quasi fossero i<br />
covoni del loro raccolto sui campi dove magari avrebbero<br />
potuto mietere il grano ormai “tosato”: mietuto e<br />
trebbiato dagli insetti. Le strade erano animate dall’andirivieni<br />
dei somari che in continuazione trasportavano<br />
i sacchi ai comuni. L’opera purtroppo riusciva inutile.<br />
L’assalto dei maiali, degli altri animali, imitato ad arte<br />
dai pastori si risolveva nel nulla. Come togliere un<br />
secchio d’acqua dal mare. Le cavallette si riproducevano<br />
in modo pauroso. La terra le pullulava dappertutto.<br />
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