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Iconologia del cavaliere Cesare Ripa, perugino

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TOMO EVINTO, 347<br />

Tiene dunque in mano quella noltra figura <strong>del</strong>la Venufià 1' elìcrifo .<br />

come (imbolo <strong>del</strong>la grazia, e <strong>del</strong>la gloria popolare, perchè chi ha in f€_><br />

venullà, e grazia, peri' ordinario ha ancora apprelfo gli altri applaufo, fallo<br />

, gloria, favore, e grazia, e perchè la venufìà concilia la grazia, mediante<br />

la quale fi ottengono le cofe è detto da' Latini pieno di venu-<br />

llà, e fortunato uno, che gli fiano luccedute bene le cofe, fecondo la_a<br />

fua intenzione. Panfilo nell' Atto quinto <strong>del</strong>l' Ecira , elTendogli fuccelfo fuo-<br />

ri di fperanza cofe bramate , circa la Moglie dille -.^tis me cfl fortimatiorì<br />

VeauH^tifquc adeo pleniorì Per lo contrario invenullo fi è detto uno, che_^<br />

fia difgraziato , al quale non iuccedono cofe defiaerate; l'altro Panfilo nell*<br />

Andria , fcena quinta. Ateo primo, parlando <strong>del</strong>le nozze, che non defiderava,<br />

diiTe : ^don hominem e/Je in "jenì'.flnm , aia ìnfeUcem q'ie'ifiqua})i ut<br />

ego j::ìn ? Kwi niun Uomo cosi invenulio , difgraziato , ed i"f;.-lice , come<br />

fon io ? onde chi ha in fé grazia , chiamar ^\ può felice , perchè trovru.»<br />

ancora facilmente prefTo altri favori, e grazia; di che facciamo fimbnlo 1*<br />

elicrifio , il quale come fiore nobile , vago, e graziofo , può elTere di ornamento<br />

, vaghezza , e grazia a chi lo porta , non che veramente quello<br />

fiore polfa , come dicono i fuddetti Autori , fare acquillar grazia , e favore<br />

; ficcarne gli Indiani fcioccamente tenevano, che la rofa potelfe far conciliare<br />

grazia apprelfo i Principi, ciò è ftolta vaniti. Vanità fimilmente è<br />

di c-)!oro , che penfano la L^-pre faccia graziofe quelle perfone , che mangiano<br />

<strong>del</strong>la fua carne , né poco maravigliomi di Pierio Autore grave che<br />

lo affarmi, e il affatica di perfuadere altri a crederlo, corrompendo il te-<br />

flo di Piinio nel 28. lib. cap. 19. ove dice Plinio: Soìnninfos fieri Lepore<br />

f:fmpto in cibis Calo arbitratur , e Pierio in vece di fomniofos , vuol piutto-<br />

ito leggere forruo/òs . Plinio vuol dir, fecondo Catone, che la carne <strong>del</strong><br />

Lepre fa le genti finnacchiofe , e Pierio vuole , che faccia le genti gra-<br />

ziofe , e bjlìe , e foggiunie : Fulgo etiam perf-i.ilum conciliari ex eo corporì<br />

gr.uia>n . E' opinione <strong>del</strong> volgo , che dia grazia alii corpi , detto prcfo<br />

da Plinio, ma non l'arreca realaiente intero, perchè Piinio lo mette per<br />

difprezzo , rigettando in quanto a fé, iìmile folle opinione: Fiilgtis , di'<br />

gratiarn corpori in jtpteni dies jrì'volo qiiidem joco .<br />

Cioè, il volgo crede, che a mangiare il Lepre dia per fette giorni<br />

grazia, con ifcherzo invero frivolo: quafi dica, che fia una baja ; ma_s<br />

Pierio , quaficchè tale opinione fo:fe vera, fa che il Lepre fia verace firnbolo<br />

<strong>del</strong>la Venuità , e grazia, la quale non fi deve, per 1' antica , e fcioc-<br />

ca perfu fione <strong>del</strong> volgo, che lupra niuna certa caufa, e ragione fi fonda><br />

rapprcfentare fotto figura <strong>del</strong> Lepre e fé, in quelli medefimi tempi, mentre<br />

la detta perfuafione era nel volgo fperfa , come da' Savj fchernita , non<br />

lì trova da niuno Autore tenuto il Lepre per fivnbolo <strong>del</strong>la Venuftà , tan-<br />

to meno adeilo tener fi deve , poiché il volgo di oggidì non ha fimile_><br />

diceria<br />

.<br />

Si vale Pierio in favor fuo di una figura di Filodrato , che dipinfcj<br />

fotto un a!b.-ro di melo i Pargoletti Amori , che fcherzavano con un Le-<br />

j?rc, ma ciò non ha che fare colla Venullà, poiché di fimili fchcr/i ,<br />

X X 2 mille

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