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Storia e Idealità Laico Socialiste Riformiste - Uil

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in questo concetto i nostri deportati, le deportate, i militari internati in Germania per aver rifiutato<br />

l'arruolamento di Salò, i dipendenti pubblici che hanno aiutato sbandati e ricercati. Ma il concetto è<br />

stato poi ridefinito in Italia da molte studiose, in particolare da Anna Bravo, che dice questo: “E'<br />

resistenza civile quando si tenta di impedire la distruzione di cose e beni ritenuti essenziali per il dopo,<br />

o ci si sforza di contenere la violenza intercedendo presso i tedeschi, ammonendo i resistenti perché<br />

non bisogna ridursi come loro; quando si dà assistenza in varie forme a partigiani, a militanti in<br />

clandestinità, a popolazioni, o si agisce per isolare moralmente il nemico; quando si sciopera per la<br />

pace o si rallenta la produzione per ostacolare lo sfruttamento delle risorse nazionali da parte<br />

dell'occupante; quando ci si fa carico del destino di estranei sconosciuti, sfamando, proteggendo,<br />

nascondendo qualcuna delle innumerevoli vite messe a rischio dalla guerra”.<br />

E allora, dalla resistenza militare (scontro armato, informazione, approvvigionamento e collegamento,<br />

stampa e propaganda, trasporto armi e munizioni, organizzazione sanitaria e ospedaliera, soccorso<br />

rosso, con la significativa esclusione dei vertici di comando), alla resistenza civile, con una presenza<br />

tanto più ampia e finora poco riconosciuta, non esistono nella Resistenza<br />

italiana compiti o settori dove le donne siano assenti. Certo, anche nella lotta<br />

armata, con una scelta sempre dolorosa, ma talvolta ineludibile, e comunque<br />

sempre una scelta, frutto di molta consapevolezza e riflessione, anche<br />

strettamente politica. E qui basta appena ricordare l'organizzazione dei gruppi<br />

di difesa della donna.<br />

Forse, allora, tenere lontane queste donne dalla storia ha contribuito a quello<br />

che un'altra storica, Delfina Tromboni, parlando di linguaggio definiva: lo<br />

scarto tra ciò che una donna si pensava potesse fare prima della Resistenza, e<br />

ciò che si pensa possa fare dopo, per il semplice motivo che l'ha fatto. Ma questo scarto, se può far<br />

paura a molti, se può aver fatto perdurare certe forme di ambiguità nel riconoscere ciò che<br />

effettivamente le donne avevano fatto in quegli anni difficili, questo scarto è la matrice di tutto quello<br />

che le donne italiane hanno realizzato nei successivi 60 anni, fino ad oggi, nella consapevolezza di sé<br />

sempre crescente, nella convinzione che non ci siano strade precluse, nella capacità di riconoscersi, di<br />

organizzarsi, di lottare. In questo modo di essere, che è stato della mia generazione e che, nonostante<br />

tutto, vediamo ancora nelle nostre figlie, è l'eredità che noi abbiamo ricevuto dalle resistenti.<br />

L'esperienza femminile attraversa e partecipa alla storia con proprie caratteristiche, ed oggi come<br />

allora essa è preziosa per tutti, per le complesse domande che pone e che qui ho appena sfiorato, dalla<br />

grande questione su violenza e non violenza, ai complicati meccanismi della memoria, alle forme<br />

organizzative, all'immagine del nemico. In particolare, in questo momento storico mi sembra<br />

importante il tema della pace. Insieme alla libertà, la pace era senza ombra di dubbio lo scopo ultimo<br />

delle resistenti, sia di quelle in armi che di quelle inermi.<br />

Il sentimento delle prime è evidente in molte memorie: sono tutte spinte non dall'odio, non dal<br />

desiderio di emulare o invadere il campo dei maschi – cosa che in effetti fanno – ma dall'urgenza di<br />

porre fine al fascismo, all'ingiustizia, alla guerra. E si convincono contro il proprio desiderio a battersi<br />

per tutti coloro che avevano sofferto ed erano morti ingiustamente, che erano ingiustamente<br />

perseguitati, come dice – e mi scuso di aver preso a prestito parole da tanto esempio – Carla Capponi,<br />

come forse molti di noi hanno sentito ieri sera anche nelle parole di Tina Anselmi, nell'intervista di<br />

Enzo Biagi, che diceva appunto qualcosa di questo genere. Più in generale, lo scopo politico della lotta<br />

delle donne è espresso in un volantino clandestino dei gruppi di difesa della donna,<br />

a Milano: nonostante l'occupazione – dice il volantino – sapremo però ugualmente<br />

affermare la nostra volontà di farla finita con la guerra.<br />

No, sono convinta, le donne non sono pacifiste per natura, solo perché sono donne.<br />

La pace è un valore degli uomini e delle donne, che richiede impegno, volontà,<br />

scelte consapevoli, troppo spesso anche resistenza all'interno di un sistema di valori<br />

che non può che essere centrato sulla democrazia e sulla giustizia per tutti.<br />

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