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Il suicidio della Destra - Tomaso Staiti di Cuddia delle Chiuse

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farla bene<strong>di</strong>re a Roma da Papa Giovanni XXIII. Nel Santuario <strong>della</strong> Consolazione <strong>della</strong> sua città, fu<br />

lo stesso Virgillito a “incoronare” la statua <strong>della</strong> Madonna.<br />

Al momento <strong>della</strong> morte, nel 1977, formalmente lasciò il suo immenso patrimonio alla “Fondazione<br />

Opera Michelangelo Virgillito” con la finalità <strong>di</strong> <strong>di</strong>stribuirlo ai poveri e ai bisognosi nati o residenti<br />

a Paternò e <strong>di</strong> elargire contributi a favore <strong>di</strong> enti religiosi, parrocchie e chiese <strong>della</strong> sua città. In<br />

realtà, il controllo effettivo dell’impero passò ai La Russa. Tutti i palazzi intorno alla Galleria del<br />

Corso erano <strong>di</strong>rettamente o in<strong>di</strong>rettamente <strong>di</strong> proprietà <strong>della</strong> famiglia. Le volontà <strong>di</strong> Virgillito<br />

vennero rispettate, e tutto venne schermato attraverso la Fondazione, la cui sede è tuttora a Milano<br />

in galleria Passerella. Ufficialmente a capo <strong>della</strong> fondazione siedono quattro ecclesiastici: il<br />

Vescovo <strong>di</strong> Catania, il prevosto <strong>della</strong> Parrocchia <strong>di</strong> Santa Maria dell’Alto <strong>di</strong> Paternò, il rettore del<br />

Santuario <strong>della</strong> Madonna <strong>della</strong> Consolazione, il Padre Guar<strong>di</strong>ano del locale Convento dei<br />

Cappuccini. Ci sono anche quattro laici, due nipoti del testatore e altri due amministratori.<br />

La maggior parte del denaro <strong>della</strong> Fondazione arriva dalla gestione <strong>di</strong> un immenso patrimonio<br />

immobiliare. Chi lo amministra non sempre ha osservato le volontà del defunto. Ad esempio<br />

nell’autunno del 1992 “Striscia la Notizia” scoprì che uno degli immobili <strong>di</strong> proprietà dell’ente<br />

benefico, il teatrino <strong>di</strong> Largo Corsia dei Servi, ospitava spettacoli a luci rosse con le più famose<br />

pornostar del momento, tra cui Moana Pozzi e <strong>Il</strong>ona Staller. Lo scandalo che ne derivò costrinse<br />

l’arcivescovo <strong>di</strong> Catania, Luigi Bonmarito, a <strong>di</strong>mettersi dal Comitato <strong>di</strong>rettivo <strong>della</strong> Fondazione<br />

Virgillito.<br />

Dopo la morte <strong>di</strong> Michelangelo, l’amministrazione dei beni più consistenti - tra cui la Liquigas –<br />

venne affidata a Raffaele Ursini. Nativo <strong>di</strong> Roccella Jonica in Calabria, ragioniere, entrato alle<br />

<strong>di</strong>pendenze <strong>della</strong> Liquigas nel 1955, all'età <strong>di</strong> 29 anni come impiegato <strong>di</strong> terza categoria, Ursini fece<br />

una rapida carriera, propiziata dalle fortune del suo mentore siciliano. Dopo soli cinque anni<br />

conquistò il controllo <strong>della</strong> società per sei miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> lire, misteriosamente trovati (“Chi me li<br />

<strong>di</strong>ede? Provate a indovinare!”, era solito ripetere). Grazie ai sol<strong>di</strong> <strong>di</strong> Virgillito, la Liquigas,<br />

ampiamente ricapitalizzata, <strong>di</strong>venne la finanziaria capogruppo <strong>di</strong> numerose società operanti in Italia<br />

e all’estero in una pluralità <strong>di</strong> settori. Tale espansione fu facilitata da miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>ti agevolati<br />

elargiti dalla Cassa per il Mezzogiorno e dall’ICIPU, un altro baraccone <strong>di</strong> Stato. Tra il ‘60 e il ‘77,<br />

anno <strong>della</strong> sua crisi, la Liquigas passò da do<strong>di</strong>ci a 600 miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> fatturato e l’impero <strong>di</strong> Ursini<br />

s’ingigantì fino a comprendere grosse quote <strong>di</strong> Bastogi (e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> Monte<strong>di</strong>son), Pirelli e<br />

ad<strong>di</strong>rittura Fiat. La grandeur del “finanziere” calabrese lo portò a rilevare la Pozzi e la Richard<br />

Ginori, e poi la SAI Assicurazioni dalla famiglia Agnelli. Fu l’apoteosi. Dentro i vari CdA sedevano<br />

sempre i La Russa.<br />

Ma, raggiunta l’apparente apoteosi, la strada per Ursini cominciò a <strong>di</strong>ventare una impervia salita. Le<br />

porte che s’erano sempre aperte si chiusero, le banche reclamarono i propri cre<strong>di</strong>ti e i politici che<br />

erano sembrati per anni agli or<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> Liquigas cambiarono atteggiamento. Nonostante tutto, Ursini<br />

volle ampliarsi ancora <strong>di</strong> più, si de<strong>di</strong>cò al settore zootecnico e concepì un folle progetto: le bioproteine,<br />

cioè proteine prodotte dalla fermentazione <strong>di</strong> idrocarburi, cioè mangime per animali da<br />

carne commestibile, e in seguito per conigli da pelliccia. <strong>Il</strong> progetto venne sintetizzato in questo<br />

modo: come ricavare bistecche dal petrolio.<br />

Costruì uno stabilimento a Gioiosa Jonica. Un enorme investimento <strong>di</strong> circa 200 miliar<strong>di</strong>, pur<br />

essendo stato in gran parte finanziato dagli stessi istituti <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to speciale per il Mezzogiorno, fu<br />

vanificato dal ministero <strong>della</strong> Sanità che, smentendo peraltro una precedente delibera del Cipe,<br />

proibì quel genere <strong>di</strong> produzioni. Per Ursini fu la fine. Scoppiò uno scandalo visto che lo Stato<br />

aveva finanziato in modo massiccio simili utopie. Ursini fu costretto ad allontanarsi dall’Italia<br />

inseguito da un mandato <strong>di</strong> cattura.<br />

Prima <strong>della</strong> fuga, Antonino La Russa sistemò la situazione. <strong>Il</strong> controllo del “patrimonio”<br />

formalmente passò a don Salvatore Ligresti, ingegnere <strong>di</strong> Paternò. Con l’intesa tra “gentiluomini”<br />

che, non appena risolti i suoi guai giu<strong>di</strong>ziari, Raffaele Ursini avrebbe riavuto il suo. Quello dell’ing.<br />

Ligresti era un nome non ancora conosciuto, anche si trattava <strong>di</strong> un tipo ben introdotto nel comune<br />

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