Il suicidio della Destra - Tomaso Staiti di Cuddia delle Chiuse
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20 – LA RETORICA DEL 25 APRILE<br />
I MORTI SI SONO GIÀ RIAPPACIFICATI<br />
Mi sono spesso domandato come mi sarei comportato nel ’38 e nel ’43 se, invece <strong>di</strong> avere<br />
rispettivamente cinque e <strong>di</strong>eci anni, fossi stato in quella che si <strong>di</strong>ce essere l’età <strong>della</strong> ragione. La<br />
risposta è insieme <strong>di</strong>fficile e facile. Difficile perché è praticamente impossibile riuscire a<br />
immergersi in quella particolare atmosfera fatta <strong>di</strong> sensazioni, <strong>di</strong> impulsi, <strong>di</strong> motivazioni, <strong>di</strong><br />
emozioni che messi tutti quanti insieme portano a compiere una scelta, senza tenere conto <strong>di</strong> ciò che<br />
è avvenuto e si è conosciuto nei decenni successivi. E poi perché, tutto sommato, si tratta <strong>di</strong> scelte<br />
<strong>di</strong> carattere esclusivamente personale. Un uomo si trova a reagire in modo assolutamente autonomo,<br />
in<strong>di</strong>viduale davanti alla necessità <strong>di</strong> una decisione. E parlo non a caso <strong>di</strong> uomini e <strong>di</strong> necessità <strong>di</strong><br />
decisioni. Perché si può anche non scegliere. Ci si può rifugiare nel proprio egoistico<br />
particolarismo, nell’utilitarismo personale del tornaconto spicciolo, nella facile e vigliacca decisione<br />
<strong>di</strong> tirarsi fuori dalla mischia. Ma, in tal caso, non si è uomini, ma solamente, per <strong>di</strong>rla con Sciascia,<br />
“ominicchi, pigghianculo o quaquaraquà”. Gli uomini veri scelgono, magari sbagliano, ma debbono<br />
scegliere. Ma la risposta è anche facile perché, alla fine, mi sarei comportato come fece mio padre.<br />
Squadrista in gioventù, mai gerarca, criticissimo fascista ai limiti dell’antifascismo ai tempi dei<br />
fasti, degli stivaloni, <strong>delle</strong> aquile, <strong>delle</strong> sahariane e <strong>delle</strong> parate <strong>delle</strong> quadrate legioni. Diceva in<br />
ogni occasione che, così come avevano fatto una marcia per portare Mussolini a Roma, bisognava<br />
farne un’altra per riportarlo via. In mezzo alla riprovazione dei leccaculo <strong>di</strong> regime, all’isolamento<br />
personale e alte denunce per “<strong>di</strong>sfattismo” da parte degli zeloti che dopo poco tempo avrebbero<br />
inneggiato alla caduta del tiranno. E che, tuttavia, nel ‘43 andò a perdere con Mussolini. Arrestato<br />
dopo il 25 aprile e portato in campo concentramento, non fu ammazzato solo perché i suoi<br />
<strong>di</strong>pendenti, tutti rigorosamente comunisti, andarono a riprenderselo, mitra spianato in mano,<br />
affermando che era sì un fascista, ma un fascista giusto e onesto. A Vercelli, una <strong>delle</strong> province più<br />
insanguinate dalla guerra civile. Era andato con Mussolini per la <strong>di</strong>gnità, per l’onore d’Italia, come<br />
si <strong>di</strong>ceva enfaticamente allora, per cadere in pie<strong>di</strong>. Sì, anch’io avrei fatto la stessa, identica scelta.<br />
Su questo non ho alcun dubbio. Anche perché non posso <strong>di</strong>menticare che questa fu la scelta <strong>di</strong><br />
moltissimi altri italiani che non erano mai stati fascisti.<br />
Per la prima volta, nell’intera storia dell’Italia, ci fu chi scelse consapevolmente la parte perdente.<br />
La sconfitta era sicura e tutti ne erano perfettamente convinti. Ricordo, e sono cose che ti restano<br />
impresse nella mente e nel cuore, i <strong>di</strong>scorsi che si facevano allora. Nessuno dei “repubblichini”<br />
pensava a una impossibile vittoria militare. E dopo l’inizio <strong>della</strong> guerra civile anche le poche<br />
illusioni <strong>di</strong> un esito non cruento caddero rapidamente. La guerra civile, appunto: tragica, crudele,<br />
<strong>di</strong>sperata e sanguinosa come lo sono tutte le guerre civili. Con eroi e criminali dall’una e dall’altra<br />
parte. Basterebbe rileggere le cronache <strong>della</strong> guerra <strong>di</strong> secessione americana, basterebbe conoscere<br />
le ragioni e le motivazioni dei vinti, così come vengano fuori in tutta la loro drammatica verità in<br />
quello stupendo libro <strong>di</strong> Dominique Venner intitolato “<strong>Il</strong> bianco sole dei vinti”, basterebbe<br />
ripercorrere gli episo<strong>di</strong> e le tappe <strong>della</strong> guerra civile spagnola per comprendere occasionalità e la<br />
nobiltà <strong>delle</strong> scelte in<strong>di</strong>viduali. Dell’una e dell’altra parte. Al <strong>di</strong> là <strong>delle</strong> ragioni <strong>della</strong> storia che sono<br />
ragioni troppo complesse per poter essere appieno comprese dai protagonisti e dai contemporanei.<br />
Di quei momenti ricordo tutto. Ricordo l’atmosfera cupa e grigia che Carlo Castellaneta nel suo<br />
“Notti e nebbia” ha reso in modo perfetto. Ricordo il tragico errore <strong>di</strong> Graziani che volle la leva<br />
obbligatoria, alimentando il fenomeno <strong>della</strong> renitenza e del partigianesimo: ricordo le canzoni<br />
strafottenti e <strong>di</strong>sperate; ricordo “Ra<strong>di</strong>o Londra” e il colonnello Stevens; ricordo il temibile e<br />
prolungato brontolio <strong>delle</strong> fortezze volanti; ricordo la glaciale e crudele implacabilità dei tedeschi;<br />
ricordo i giovanissimi volontari <strong>della</strong> Rsi, i “ribelli” catturati e destinati alla morte; i ban<strong>di</strong> e le<br />
scritte clandestine sui muri; le armi e le <strong>di</strong>vise; i gla<strong>di</strong> e le stelle rosse; ricordo l’incombere <strong>della</strong><br />
morte in ogni atto, anche il più semplice, <strong>della</strong> vita comune. Ricordo i coraggiosi e i vigliacchi; i<br />
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