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Il suicidio della Destra - Tomaso Staiti di Cuddia delle Chiuse

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E fin qui ce la caviamo con i mo<strong>di</strong> del prologo. Le cose <strong>della</strong> teoria hanno i pie<strong>di</strong> per camminare e<br />

siccome tempo n’è passato da allora, il filo si riannoda a partire dall’attualità. Ecco: comunque<br />

vadano le elezioni, la destra – per come ha cristallizzato la propria fisionomia – è arrivata alla sua<br />

ultima fermata, e l’atto finale si rivela già nell’impossibilità <strong>di</strong> fare futuro (e non è un gioco <strong>di</strong><br />

parole) oltre l’ombrello del berlusconismo. La destra-destra, qui s’intende. E’ quella derivata dalla<br />

doppia mutazione da Alleanza nazionale in Pdl e, da questo, poi, in quel che è <strong>di</strong>ventato il<br />

laboratorio <strong>della</strong> fronda finiana. Domanda <strong>delle</strong> domande, però: perché, facciamo ad esempio, la<br />

Lega <strong>di</strong> Umberto Bossi è cresciuta e si è evoluta senza farsi vampirizzare da Silvio Berlusconi –<br />

anzi, sovrastandolo ma aiutandolo non poco – mentre al contrario la destra è risultata solo un<br />

inciampo e si è <strong>di</strong>ssolta nell’abbraccio con Forza Italia, anzi, creando non pochissimi <strong>di</strong>sastri per<br />

sparire senza resti e senza eserciti? La destra-destra non avrà futuro fuori dell’epoca berlusconiana.<br />

Magari esisterà la parola è sarà una qualsiasi immondezza <strong>di</strong> tipo nevrastenico pop (esempi,<br />

purtroppo, non ne mancano a furia <strong>di</strong> isterie xenofobe e occidentaliste) ma la destra derivata dalla<br />

tra<strong>di</strong>zione culturale <strong>della</strong> vena ghibellina, quella <strong>della</strong> Tra<strong>di</strong>zione, quella, insomma, risorgimentale<br />

del liceo classico, <strong>della</strong> caserma e <strong>di</strong> Guglielmo Marconi, non troverà più modo <strong>di</strong> essere<br />

contemporanea al proprio tempo per manifesta incapacità <strong>di</strong> <strong>di</strong>segnare, innanzitutto, il presente.<br />

Cerco, intanto <strong>di</strong> dare a me stesso la risposta alla domanda <strong>di</strong> prima: la Lega vince perché è prassi.<br />

Tanto per cominciare il Carroccio, che pure nasce da una comunità a guida carismatica, rende tutti<br />

gli onori al capo ma ha messo in campo fior <strong>di</strong> campioni quali Roberto Maroni – quello che<br />

materialmente sta sfasciando la mafia e la camorra –, quin<strong>di</strong> Tosi, sindaco <strong>di</strong> Verona (uno che non<br />

teme il paragone con la celebrata tra<strong>di</strong>zione amministrativa <strong>delle</strong> municipalità rosse, tanto è bravo),<br />

quin<strong>di</strong> ancora un ottimo ministro come Zaia e poi ancora curiosi e ghiotti incursori <strong>della</strong> cultura,<br />

magari sconosciuti al pubblico altero dei gran<strong>di</strong> quoti<strong>di</strong>ani, ma <strong>di</strong> solida tempra (sia consentita<br />

l’espressione) spirituale. Sono quelli <strong>di</strong> “Terra Insubre”. Personalmente li ho incontrati in una<br />

tavolata degna dei banchetti <strong>di</strong> Asterix e Obelix, anzi, degna dei Campi Hobbit. Ad un certo punto<br />

<strong>della</strong> <strong>di</strong>scussione hanno iniziato a fare una sana litigata e se in quello stesso momento, a Capalbio,<br />

qualcuno stava accalorandosi sulle “Mine vaganti” <strong>di</strong> Ozpetek, questi almeno se le stavano<br />

ragionando le questioni a proposito del concetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>venire: si <strong>di</strong>videvano tra hegeliani ed eraclitei.<br />

Con tanti saluti all’egemonia culturale.<br />

E tanto per gra<strong>di</strong>re, poi, la Lega che pre<strong>di</strong>ca male con parole d’or<strong>di</strong>ne ai confini del razzismo e<br />

dell’islamofobia, razzola poi benissimo se si pensa che quel fantastico Gentilini, pro sindaco <strong>di</strong><br />

Treviso, è quello che meglio <strong>di</strong> un qualsiasi prete <strong>di</strong> frontiera ha saputo gestire l’immigrazione nella<br />

sua Alabama <strong>della</strong> Marca se è vero che più del 20 per cento <strong>delle</strong> partite Iva sono dei regolari<br />

extracomunitari. Gentilini è – giusto perché la Lega è sangue <strong>di</strong> popolo – quello che va a prendersi<br />

il tricolore <strong>di</strong> Cesare Battisti, la ban<strong>di</strong>era <strong>di</strong>menticata nella tazza del cesso da Umberto Bossi, per<br />

stringerselo al proprio collo <strong>di</strong> vecchio alpino. La Lega è prassi mentre la <strong>Destra</strong> è tentativo senza<br />

essere pensiero, questa è l’unica risposta possibile al perché tutto quel lavoro dei Pinuccio Tatarella<br />

e dei Beppe Niccolai (sul piano politico) e dei Domenico Fisichella e dei Marco Tarchi in illo<br />

tempore (<strong>di</strong> quest’ultimo, appunto, e del suo nuovo libro adesso parleremo) sia infine sfumato nel<br />

fallimento del Pdl. E il dramma è doppio perché anche a dover vincere le elezioni regionali, il Pdl, il<br />

partito nato dalla fusione tra Forza Italia e quel che restava <strong>di</strong> An intorno alla figura <strong>di</strong> Gianfranco<br />

Fini, è crepato. Se la Lega ha approfittato dell’opportunità del berlusconismo per realizzare i propri<br />

capitoli – sia esso il federalismo, l’immigrazione o la conquista del Veneto – la destra, al contrario,<br />

in Silvio Berlusconi – fatta salva la schiera lealista e faticatrice <strong>di</strong> Maurizio Gasparri – ha avuto un<br />

padrone cui riservare solo coltellate. Non a caso Bossi, dal palco <strong>di</strong> piazza S. Giovanni, in<strong>di</strong>cando il<br />

Cavaliere ha detto: “A lui io non ho mai chiesto una lira”. Se la Lega è rimasta fedele a se stessa, la<br />

destra, a partire dalla svolta <strong>di</strong> Fiuggi, ha sistematicamente <strong>di</strong>strutto “il partito”. E questo non l’ha<br />

fatto per veicolare libertà tra i propri aderenti ma per cinturare un leader e scimmiottare una<br />

contraffazione <strong>della</strong> società civile ritenendo ogni militante un pezzo <strong>di</strong> mondo da lasciare alla<br />

deriva. Perpetuando così “un senso <strong>di</strong> inferiorità”, così <strong>di</strong>ceva Beppe Niccolai, “che ha fatto sì <strong>di</strong><br />

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