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Zingari di merda Antonio Moresco - Il primo amore

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lando con Dumitru della Snia. C’era uno zingaro<br />

figlio <strong>di</strong> puttana che pretendeva <strong>di</strong> far pagare<br />

duecento euro ai nuovi arrivati per farli entrare<br />

in quell’inferno e dargli una baracchina<br />

già pronta, che pretendeva ad<strong>di</strong>rittura <strong>di</strong> far<br />

pagare un pedaggio a chi passava <strong>di</strong> fronte alla<br />

sua baracchina.<br />

“E c’era chi pagava?” domanda Giovanni.<br />

“Certo, c’era chi aveva paura e pagava.”<br />

“Anche tu pagavi?”<br />

“A me non ha neanche avuto il coraggio <strong>di</strong><br />

chiederlo, perché se no lo mangiavo.”<br />

E c’erano anche ragazzi che battevano, pedofili<br />

pavesi che si aggiravano in piena notte in<br />

mezzo ai topi, alle macerie, alla <strong>merda</strong>. Io avevo<br />

conosciuto molti anni prima quel posto. Allora<br />

era la seconda fabbrica <strong>di</strong> Pavia, e io ho<br />

vissuto per alcuni anni in quella città, mandato<br />

lì dal mio gruppo rivoluzionario. Andavo davanti<br />

a quella stessa fabbrica a fare lavoro politico,<br />

a organizzare scioperi, lotte, a <strong>di</strong>stribuire<br />

volantini, giornali, a fare comizi. Le operaie mi<br />

parlavano del lavoro che si svolgeva all’interno,<br />

dei veleni chimici, della <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> lavorare<br />

con le mani i fili della viscosa. Fino a pochi anni<br />

fa è rimasta, su un muro vicino all’entrata<br />

della fabbrica, molto sbia<strong>di</strong>ta ma ancora riconoscibile,<br />

una scritta contro i licenziamenti che<br />

avevo tracciato io stesso, quasi quarant’anni<br />

prima, una notte, con la vernice e il pennello.<br />

Allora andavo ogni giorno davanti alla sua facciata<br />

e la conoscevo attraverso gli uomini e le<br />

donne che ci lavoravano dentro e che uscivano<br />

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