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Diritti umani e giustizia penale<br />

Salvatore Tesoriero<br />

spunto fecondo per indagare in concreto i delicati equilibri sottesi ai citati rapporti; equilibri<br />

percorsi da tensioni laceranti, se non tragiche, ogni qual volta si riflettano sui fondamentali<br />

valori della libertà e della dignità dell’imputato.<br />

E’ quanto accade nell’ipotesi in cui oggetto del giudizio di ribaltamento in appello sia una<br />

sentenza di assoluzione. In questo caso, la condanna, all’esito del secondo grado, “fulmina”<br />

un imputato paradossalmente relegato ai margini del processo in conseguenza della previa<br />

dichiarazione di innocenza: stando alla disciplina codicistica, nella sede processuale che lo<br />

vede per la prima volta soccombere, l’imputato non partecipa alla definizione del devolutum,<br />

non sarebbe ammesso a presentare richieste istruttorie, è tendenzialmente impossibilitato ad<br />

ottenere la formazione in contraddittorio della prova davanti al giudice che decide; in un crescendo<br />

di paradossi gli è poi preclusa un’impugnazione di merito della sentenza di condanna<br />

emessa in appello.<br />

Le descritte problematiche, ampiamente segnalate in dottrina 9 , hanno animato l’articolato,<br />

e talvolta farraginoso, percorso ortopedico-riparatore della giurisprudenza di legittimità<br />

e innervato un dibattito sull’opportunità politica oltre che sulla compatibilità costituzionale<br />

e sistematica dell’appello del pubblico ministero avverso la sentenza di proscioglimento. Si<br />

tratta di un dibattito all’interno del quale, com’è noto, si è incastonato un radicale intervento<br />

legislativo (l. 20 febbraio 2006, n. 46, nota come legge Pecorella) introduttivo di estesi limiti<br />

al potere del pubblico ministero di impugnazione delle sentenze di proscioglimento; un intervento<br />

che aveva sullo sfondo, tra l’altro, proprio l’esigenza di superare le distonie derivanti dalle<br />

condanne maturate per la prima volta in appello 10 . Le suddette modifiche normative – come<br />

si sa – sono state spazzate via dalla Corte costituzionale, con sostanziale riviviscenza della<br />

disciplina previgente e delle distonie denunciate 11 .<br />

Il tema torna oggi al centro del dibattito, soprattutto giurisprudenziale, per effetto di una<br />

serie di pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo che, posta di fronte al ribaltamento<br />

di una sentenza di assoluzione in condanna, ha individuato un ingrediente indefettibile del<br />

processo equo nella rinnovazione del contatto diretto tra il giudice dell’impugnazione e la<br />

prova, censurandone l’omissione come violazione dell’art. 6 CEDU.<br />

Illuminato nella dimensione soggettiva, ovvio riflesso delle funzioni tipiche svolte dalla<br />

Corte sovranazionale, si affaccia alle porte dell’ordinamento nazionale un vero e proprio diritto<br />

dell’imputato all’ammissione e alla conseguente riassunzione in sede di impugnazione di<br />

prove già acquisite in primo grado alle condizioni tratteggiate dai giudici di Strasburgo.<br />

Il presente lavoro si propone di ricostruire lo “statuto sovranazionale” di tale diritto e di indagarne<br />

l’impatto sull’ordinamento interno alla luce dei consolidati obblighi d’interpretazione<br />

9<br />

Tra i tanti contributi, si segnala come crocevia del dibattito il seminario di studio organizzato da Magistratura Democratica (Sasso Marconi,<br />

12-13 dicembre 2003), i cui atti sono raccolti in Aa.Vv. (a cura di Nunziata), Principio accusatorio, impugnazioni, ragionevole durata del<br />

processo, in Diritto e giustizia, 2004, suppl. al fasc. 29; Per una recente ricognizione delle problematiche in esame e delle varie posizioni maturate<br />

in dottrina, v. Belluta, Prospettive di riforma dell’appello penale, tra modifiche strutturali e microchirurgia normativa, in Riv. dir. proc., 2010, p.<br />

1059 s., ora anche in Bargis – Belluta, Impugnazioni penali: assestamenti del sistema e prospettive di riforma, Torino, 2013, p. 235 s.<br />

10<br />

Sottolinea questo aspetto Vicoli, Irragionevoli i limiti all’appello del pubblico ministero, ma labili i confini tra norma illegittima e norma<br />

inopportuna, in Giur. it., 2008, I, p. 260: «anche nell’accezione descrittiva di ratio legis i vincoli previsti dalla legge n. 46/2006 all’appellabilità<br />

delle sentenze dibattimentali di contenuto assolutorio nascevano da premesse che hanno un fondamento logico sistematico […] in tal senso<br />

si lamenta come l’impianto complessivo risulti affetto da una palese distonia nella misura in cui consente che all’accertamento scaturito dal<br />

contraddittorio e dall’oralità nella formazione della prova possa essere sovrapposto quello meramente cartolare tipico della fase di gravame».<br />

11<br />

Il riferimento è, ovviamente, alla nota sentenza della Corte Costituzionale 6 febbraio 2007, n. 26, con la quale è stato dichiarato illegittimo<br />

l’art. 1 della l. 20 febbraio 2006, n. 46 nella parte in cui, sostituendo l’art. 593 c.p.p., escludeva che il pubblico ministero potesse appellare le<br />

sentenze di proscioglimento, fatta eccezione per i casi nei quali fosse stata scoperta o fosse sopravvenuta una nuova prova decisiva. Sulla legge<br />

Pecorella e la sentenza n. 26/2007, pubblicata su un novero vasto di riviste (per tutte, Dir. pen. proc., 2007, p. 605), si registra una copiosa<br />

letteratura che, in questa sede, non può essere integralmente riportata. V., in particolare, i seguenti volumi collettanei: Bargis-Caprioli (a<br />

cura di), Impugnazioni e regole di giudizio nella legge di riforma del 2006. Dai problemi di fondo ai primi responsi costituzionali, Torino, 2007;<br />

Scalfati (a cura di), Novità su impugnazioni penali e regole di giudizio, Milano, 2006; Gaito (a cura di), La nuova disciplina delle impugnazioni<br />

dopo la legge Pecorella, Torino, 2006; ed inoltre, almeno, Bargi – Gaito, Il ritorno della consulta alla cultura processuale inquisitoria (a proposito<br />

della funzione del p.m. nelle impugnazioni penali), in Giur. Cost., 2007, p. 240 s.; Cordero, Un’arma contro due, in Riv. dir. proc., 2006, p. 807 s.;<br />

Caprioli, I nuovi limiti all’appellabilità delle sentenze di proscioglimento tra diritti dell’individuo, obbligatorietà dell’azione penale e “parità” delle<br />

armi, in Giur. it, 2007, 01, p. 254 s.; Id., Inappellabilità delle sentenze di proscioglimento e “parità delle armi” nel processo penale, in Giur. cost., 2007,<br />

p. 250 s.; Ceresa-Gastaldo, I limiti all’appellabilità delle sentenze di proscioglimento: discutibili applicazioni e gravi problemi di costituzionalità,<br />

in Cass. pen., 2007, p. 827 s.; Ferrua, Riforma disorganica era meglio rinviare, in Dir. giust., 2006, n. 9 p. 81 Id, La sentenza costituzionale<br />

sull’inappellabilità del proscioglimento e il diritto al “riesame” dell’imputato, in Dir. pen. proc., n. 5, 2007, p. 611 s.; Kostoris, Le modifiche al codice<br />

di procedura penale in tema di appello e di ricorso per Cassazione introdotte dalla legge Pecorella, in Riv. dir. proc., 2006, pag. 634; Spangher, Legge<br />

Pecorella, l’appello si sdoppia, tra l’eccezionale ed il fisiologico, in Dir. giust., 2006, n.9, p. 69; Vicoli, Irragionevoli i limiti all’appello del pubblico<br />

ministero, cit., p. 257 s.<br />

3 - 4/<strong>2014</strong> 241

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