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Diritti umani e giustizia penale<br />

Salvatore Tesoriero<br />

Al contrario, decisamente meno avanzata (ed anzi, a tratti involuta) si configura la riflessione<br />

sull’inquadramento della questione tra i motivi tipici di ricorso e sul relativo regime di<br />

rilevabilità. La suprema Corte muove ora dalla riqualificazione dei motivi dedotti nei termini<br />

di un generico vizio motivazione 110 , ora da interpretazioni estensive del devolutum, ritenendosi<br />

investita della questione anche in ipotesi in cui i motivi concernevano esclusivamente la<br />

manifesta illogicità delle premesse inferenziali dei risultati probatori posti a fondamento delle<br />

sentenze impugnate 111 ; così evitando tra l’altro, come vedremo, di misurarsi preliminarmente<br />

con la delicata questione relativa alla fonte officiosa dei poteri di cognizione del giudice di<br />

legittimità 112 .<br />

Nell’incedere indistinto del ragionamento, il vizio processuale derivante dall’omessa rinnovazione<br />

è, così, acriticamente attratto nell’orbita di un generico difetto di motivazione, obliterando<br />

ogni indagine sui profili peculiari e autonomi della patologia.<br />

A dispetto della scarsa elaborazione dei giudici di legittimità, la ricostruzione del vizio<br />

processuale derivante dalla patologica menomazione in appello della rinnovazione istruttoria<br />

di matrice “convenzionale” costituisce uno snodo indispensabile – e, per molti versi, “di chiusura”<br />

– dell’indagine intrapresa.<br />

Partiamo – com’è ovvio – dalla norme.<br />

Sono tre le categorie codicistiche con le quali, a prima lettura, appare indispensabile misurarsi:<br />

l’inosservanza di una norma processuale stabilita a pena di nullità o di inutilizzabilità<br />

(art. 606 comma 1 lett. c) c.p.p.); la mancata assunzione di una contro-prova decisiva (art. 606<br />

comma 1 lett. d) c.p.p.); la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione<br />

(art. 606 comma 1 lett. e) c.p.p.).<br />

Sul primo versante, appare non convincente l’inquadramento del vizio in esame nell’error<br />

in procedendo di cui all’art. 606 comma 1 lett c).<br />

E’ vero che l’eventuale omissione argomentativa dell’ordinanza con la quale il giudice è<br />

chiamato a provvedere sulla rinnovazione istruttoria (art. 603 comma 5 c.p.p.) è sanzionata<br />

con una nullità (art. 125 comma 3 c.p.p.); tuttavia, la radicale mancanza di motivazione copre<br />

solo una delle manifestazioni patologiche prospettabili nell’ipotesi di mancata rinnovazione<br />

della prova, rimanendo esclusi i casi in cui un provvedimento motivato vi sia, seppur viziato.<br />

D’altra parte, la deduzione del vizio sub specie nullitatis appare in radice da escludere alla luce<br />

dell’orientamento, ormai consolidato in dottrina e giurisprudenza, secondo cui il difetto di<br />

motivazione può essere censurato in sede di legittimità esclusivamente alla stregua dell’art.<br />

606 comma 1 lett. e), che, in quanto previsione specifica, renderebbe inapplicabile quella di<br />

carattere generale di cui all’art. 606 comma 1 lett. c) 113 .<br />

Scarsamente convincente risulta anche il richiamo all’inosservanza di una norma processuale<br />

stabilita a pena di inutilizzabilità. Leggendo e utilizzando gli atti concernenti la prova<br />

dichiarativa assunta in primo grado e non rinnovata il giudice d’appello non viola, infatti,<br />

alcun divieto probatorio. Inoltre, appare forzata a monte l’enucleazione dalle rationes decidendi<br />

“convenzionali” dell’inutilizzabilità dell’atto come vizio derivante dalla mancata rinnovazione.<br />

Come visto 114 , la Corte EDU non esclude l’utilizzabilità della prova dichiarativa non rinnovata<br />

ai fini del ribaltamento, ma si limita a censurarne la valutazione come prova decisiva ai fini<br />

della condanna 115 .<br />

Sul secondo versante, appare difficile ricondurre la violazione in esame nell’alveo dell’art.<br />

606 comma 1 lett. d) senza operare una lettura della nozione di contro-prova tratteggiata<br />

dall’art. 495 comma 2 c.p.p. palesemente forzata, ai limiti del travisamento normativo. L’oggetto<br />

della rinnovazione probatoria di cui si ipotizza la violazione, infatti, è rappresentato da<br />

110<br />

V., ancora, Sez. III, F.R., cit.: «il ricorrente ha censurato la decisione impugnata in quanto affetta da un presunto vizio motivazionale<br />

(peraltro erroneamente richiamando l’art. 606 c.p.p., lett. c), in quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione,<br />

fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui all’art. 606, comma 1 lett. c), nella<br />

parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità)».<br />

111<br />

Sez. V, Donato, cit.; Sez. II, Corigliano, cit.<br />

112<br />

Valutazione, in questo caso, ineludibile dal momento che l’epilogo decisorio deriva proprio dalla rilevazione dell’omessa rinnovazione della<br />

prova; vizio che – stando al testo delle sentenze – non risulterebbe direttamente devoluto.<br />

113<br />

Per una ricognizione dell’evoluzione degli orientamenti di dottrina e giurisprudenza fino all’ipotesi ormai consolidata e accolta nel testo, v.<br />

Caprioli, sub art. 606, in Conso – Grevi (a cura di), Commentario breve al codice di procedura penale, Padova, 2010, p. 2093-2094.<br />

114<br />

V., infra, par. 2.<br />

115<br />

A conclusioni diverse giunge la sentenza Basile (Sez. V, Basile, cit.), nella quale la Cassazione, sia pur con uno spunto argomentativo<br />

incidentale, riconduce la censura nell’ambito della «violazione di legge ex art. 606 lett. c)».<br />

3 - 4/<strong>2014</strong> 266

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