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Diritti umani e giustizia penale<br />
Salvatore Tesoriero<br />
risolva anche in un giudizio di assoluta necessità della rinnovazione istruttoria e viceversa» 79 .<br />
Consolidata è anche la portata interpretativa del vaglio: deve ritenersi impossibile decidere<br />
allo stato degli atti, e pertanto, assolutamente necessaria la riassunzione della prova in appello<br />
«quando i dati già acquisiti siano incerti nonché quando l’incombente richiesto rivesta carattere<br />
di decisività nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali suddette incertezze ovvero<br />
sia di per sé oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza» 80 .<br />
Così interpretata, la disciplina della rinnovazione istruttoria di cui all’art. 603 c.p.p., risulterebbe<br />
– nell’ottica della Cassazione – «perfettamente coincidente e sovrapponibile con il<br />
principio di diritto enunciato dalla Corte EDU secondo il quale il giudice d’appello non può<br />
decidere sulla base delle testimonianze assunte nel giudizio di primo grado limitandosi ad una<br />
mera rivalutazione – in termini di attendibilità – delle medesime (in senso peggiorativo per<br />
l’imputato) quando siano decisive» 81 . Non si registrerebbe, pertanto, alcuna asimmetria con i<br />
principi “convenzionali”.<br />
La via breve appare in questo caso, tuttavia, il modesto prodotto della miopia dell’interprete<br />
più che dell’assenza di profondità del percorso da tracciare.<br />
A ben guardare, infatti, va rilevato come sullo sfondo dell’attuale statuto domestico dell’attività<br />
probatoria in appello campeggi la presunzione di completezza del quadro probatorio<br />
(che ha fondato una sentenza, come quella di primo grado, potenzialmente irrevocabile). Gli<br />
spazi della ri-ammissione sono, pertanto, misurati sull’attitudine integrativa degli incombenti<br />
istruttori richiesti, sotto lo specifico profilo della (assoluta) necessità di surrogare l’incertezza<br />
del quadro probatorio, che, appunto, non consente la decisione allo stato degli atti. Nel diritto<br />
vivente, la rinnovazione opera, pertanto, come istituto eccezionale, fondato sulla necessità di<br />
superare l’incertezza accidentale del quadro probatorio offerto al giudice d’appello, che si assume<br />
ordinariamente completo 82 .<br />
Al contrario, nell’ottica della Corte EDU – come ampiamente argomentato – la rinnovazione<br />
è condizione di equità del processo ogni qual volta il giudice d’appello, chiamato<br />
ad una cognizione completa dei profili di responsabilità dell’imputato, finisca per ribaltare<br />
una pronuncia assolutoria condannando l’imputato sulla base delle stesse prove dichiarative<br />
assunte in primo grado, così certificando la decisività della rivalutazione delle prove stesse. La<br />
rinnovazione, a queste condizioni e nell’ipotesi data, è un requisito di equità del procedimento,<br />
la cui ratio deve essere rinvenuta nella necessità di ristabilire un contatto diretto tra il giudice<br />
che decide e la prova dichiarativa, indipendentemente da una situazione di incertezza del<br />
quadro probatorio accertata ex ante; un’incertezza, a voler darle rilevanza, che può presumersi<br />
al contrario certificata ex post dal ribaltamento della valutazione sulla attendibilità della prova<br />
decisiva e quindi del giudizio sulla responsabilità.<br />
La diastasi tra i due ordinamenti appare evidente: la rinnovazione assume – nell’ordinamento<br />
domestico – i connotati di un istituto eccezionale finalizzato a completare il quadro<br />
probatorio accidentalmente incerto, mentre in sede “convenzionale”, nelle ipotesi di ribaltamento<br />
della sentenza di assoluzione in condanna in appello, diviene condizione ordinaria di<br />
equità della procedura che prescinde dall’incertezza del quadro probatorio in quanto diretta a<br />
soddisfare esclusivamente il principio di immediatezza.<br />
E’ uno iato colmabile in via interpretativa<br />
La risposta all’interrogativo va svincolata dalle ipoteche derivanti dalle tradizionali parti-<br />
79<br />
Zappalà, Sub art. 603, in (a cura di Chiavario) Commento al nuovo codice, VI, cit., p. 205 il quale rileva il fondamento normativo comune<br />
dei due presupposti nell’art. 2 n. 94 della legge delega che pone l’iniziativa officiosa sullo stesso piano di quella di parte («rinnovazione del<br />
dibattimento nel giudizio di appello su richiesta delle parti o d’ufficio, se il giudice ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli<br />
atti»); Cfr., anche, Cordero, Procedura penale, Milano, 2012, p. 1125, secondo il quale la formula dell’art. 603 comma 3 c.p.p. «ripete ciò che<br />
abbiamo letto nel comma 1: l’istruzione reiterata o accresciuta presuppone che allo stato degli atti sia impossibile decidere; a richiesta di una<br />
delle parti (appellante o no) ovvero ex officio, bisogna procedervi ogniqualvolta possano uscirne dati utili»; in giurisprudenza, tra le tante, v.<br />
Sez. III, 5 marzo 2003, n. 2292, Capuozzo, in Guida dir., 2003, f. 27, p. 102: «nel giudizio di appello, l’ipotesi di rinnovazione del dibattimento<br />
disposta d’ufficio, ai sensi del comma 3 dell’art. 603 del c.p.p., è subordinata alla condizione che il giudice d’appello la ritenga, secondo la sua<br />
valutazione discrezionale, assolutamente necessaria, ossia si trovi nell’impossibilità di decidere allo stato degli atti».<br />
80<br />
Così, Sez. III, Capuozzo, cit., p. 102; v., anche, Sez. III, 7 aprile 2004, n. 21687, Modi, in Cass. pen., 2006, p. 1862.<br />
81<br />
Cass., Sez. II, Consagra, cit.<br />
82<br />
Cfr., Peroni, L’istruzione dibattimentale nel giudizio di appello, Padova, 1995, p. 200; in giurisprudenza, fra le tante, v., già, Sez. I. 27 maggio<br />
1991, n. 7329, Silvestri, in A. n. proc. pen., 1992, 109; recentemente, v. Sez. II, 27 settembre 2013, n. 41808, Mongiardo, in C.E.D. Cass., n.<br />
256968.<br />
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