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Diritti umani e giustizia penale<br />
Salvatore Tesoriero<br />
tezza del quadro probatorio: in definitiva, appunto, «uno degli aspetti essenziali del modello<br />
processuale accusatorio, espresso dal vigente codice di procedura penale» 96 .<br />
E’ pur vero che nell’attuale ordito codicistico non vi sono norme che ne tutelino esplicitamente<br />
l’operatività in appello, a differenza del giudizio di primo grado in cui il mancato<br />
rispetto del principio di immediatezza è sanzionato dalla più grave delle sanzioni processuali,<br />
la nullità assoluta (art. 525 comma 2 c.p.p.). Tuttavia, non si vede come la prospettazione di<br />
una prerogativa (come la riassunzione della prova decisiva in appello) fondata su un modulo<br />
epistemologico strettamente collegato al principio accusatorio possa ritenersi incompatibile<br />
con l’ordinamento che a quest’ultimo principio è tendenzialmente informato.<br />
Ciò non significa – si badi bene – che sul piano dell’opportunità (e quindi delle scelte di<br />
politica del diritto) l’estensione all’appello dell’operatività del principio di immediatezza sia<br />
prospettiva auspicabile 97 , ma semplicemente che la stessa non è in radice incompatibile con<br />
l’attuale sistema processuale.<br />
Sul secondo versante, va, da ultimo, indagata la coerenza della rinnovazione probatoria<br />
fondata sul principio d’immediatezza, al fine di illuminarne la peculiare funzionalità nell’ipotesi<br />
di appello contro le sentenze di assoluzione, dal momento che – viceversa – il trapianto<br />
dello “statuto convenzionale”, limitato a tale ipotesi (con esclusione della rinnovazione nei casi<br />
di appello avverso sentenze di condanna), esporrebbe l’ordinamento complessivamente inteso<br />
a trattare irragionevolmente ipotesi identiche in modo diverso.<br />
In quest’ottica, la cognizione di una sentenza di assoluzione da parte di un giudice d’appello<br />
dotato del potere di riformare nel merito il giudizio sulla responsabilità dell’imputato<br />
ben può costituire – sulla scia della ratio decidendi “convenzionale” – una situazione processuale<br />
certamente gravida di peculiarità.<br />
Come sottolineato in dottrina, solo in questo caso il giudice d’appello, percorrendo il proprio<br />
itinerario cognitivo è inevitabilmente esposto alle cadenze tipiche della rinnovazione del<br />
giudizio.<br />
Infatti, mentre alla prospettiva di ribaltamento di una decisione di condanna non si accompagna<br />
alcuna forzatura degli argini cognitivi di un vaglio meramente critico, potendo<br />
l’assoluzione derivare dalla mera confutazione di una prova determinante, la prospettazione<br />
dello scenario inverso attira fatalmente il giudice verso una ricostruzione integrale del fatto,<br />
certificata ogni qual volta si sostituisca all’assoluzione una condanna all’esito del giudizio di<br />
appello 98 .<br />
Nel primo caso, l’attività sufficiente ad una corretta statuizione è di matrice cognitivo-confutatoria,<br />
da intendersi come tecnica idonea a proporre ipotesi alternative a quelle assunte<br />
come fondamento del giudizio di primo grado, circoscritta ad un controllo degli atti processuali.<br />
Nel secondo, al contrario, il riesame sulle risorse persuasive della prova travisate o non<br />
colte dal giudice di primo grado è certamente idoneo a fungere da indicatore dell’ingiustizia<br />
della prima decisione, ma non può esaurire l’attività cognitiva del giudice 99 . La regola di giu-<br />
96<br />
C. Cost., 7 giugno 2010, (ord.) n. 205, in cui si afferma, da un lato, che «il diritto all’assunzione della prova davanti al giudice chiamato a<br />
decidere […] si raccorda, almeno per quanto attiene all’imputato, anche alla garanzia prevista dall’art. 111, terzo comma, Cost., nella parte<br />
in cui riconosce alla persona accusata di un reato […] la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono<br />
dichiarazioni a suo carico e di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell’accusa»; dall’altro<br />
che «la ratio giustificatrice della rinnovazione della prova non si richiama, dunque, ad una presunta incompletezza o inadeguatezza della<br />
originaria escussione, ma si fonda sulla opportunità di mantenere un diverso e diretto rapporto tra giudice e prova, particolarmente quella<br />
dichiarativa, non garantito dalla semplice lettura dei verbali: vale a dire la diretta percezione, da parte del giudice deliberante, della prova stessa<br />
nel momento della sua formazione, così da poterne cogliere tutti i connotati espressivi, anche quelli di carattere non verbale, particolarmente<br />
prodotti dal metodo dialettico dell’esame e del controesame; connotati che possono rivelarsi utili nel giudizio di attendibilità del risultato<br />
probatorio, così da poterne poi dare compiutamente conto nella motivazione ai sensi di quanto previsto dall’art. 546 comma 1, lettera e), cod.<br />
proc. pen.».<br />
97<br />
Al contrario, come vedremo, infra, par. 7, vi sono molte ragioni per escludere che, de iure condendo, la strutturazione di un appello informato<br />
al medesimo statuto epistemologico del primo grado sia prospettiva da accogliere.<br />
98<br />
V. Nappi, Adeguamenti necessari per il sistema delle impugnazioni, Aa.Vv. (a cura di Nunziata), Principio accusatorio, impugnazioni, ragionevole<br />
durata del processo, cit., p. 151 s. il quale rileva: «mentre per giustificare la trasformazione di una condanna in assoluzione basta inficiare anche<br />
una soltanto delle prove che sorreggono la costruzione dell’accusa, invece per poter trasformare una sentenza di assoluzione in una sentenza di<br />
condanna occorre che si ricostruisca ex novo l’impianto accusatorio. E quindi la trasformazione di una condanna in assoluzione può conseguire<br />
anche al mero controllo della correttezza della decisione impugnata, mentre la trasformazione di una assoluzione in condanna richiede un<br />
nuovo accertamento del fatto».<br />
99<br />
I «risvolti confutatori» e le «risorse persuasive» come portato del coefficiente argomentativo della prova sono immortalati da Siracusano,<br />
che pur giunge a conclusioni diverse da quelle qui proposte: Siracusano, Ragionevole durata del processo e giudizi di impugnazione, in Riv. it.<br />
dir. proc. pen., 2006, p. 18 s.<br />
3 - 4/<strong>2014</strong> 263