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Diritti umani e giustizia penale<br />
Salvatore Tesoriero<br />
estranea alle rationes decidendi della Corte di Strasburgo.<br />
A ben vedere, si tratta inoltre di un’esclusione in grado di svilire patologicamente il significato<br />
garantistico del diritto alla rinnovazione nella gran parte delle ipotesi tipiche: paradossalmente,<br />
l’istituto sarebbe devitalizzato proprio nei casi in cui risulterebbe più opportuno<br />
ricorrervi. Il ribaltamento in appello delle sentenze di assoluzione in condanna si innesta spesso,<br />
infatti, su vicende processuali “difficili”, il cui quadro probatorio annovera frequentemente<br />
prove dichiarative per loro natura problematiche o deboli (si pensi alle chiamate in reità o correità,<br />
ovvero a testi non privi di interesse nella vicenda il cui ruolo processuale è quindi mobile<br />
– ad es. persone offese nei reati di concussione – ed in generale alle persone offese, ovvero ai cd.<br />
testi vulnerabili). Tale tipologia di prova fisiologicamente richiede una valutazione integrata<br />
con gli altri elementi probatori estrinseci; una valutazione tanto più pregnante quanto meno la<br />
fonte risulti disinteressata alla vicenda processuale. In quest’ottica, l’apprezzamento di quegli<br />
elementi probatori periferici, illuminati proprio per elevare lo standard di rigore valutativo<br />
della dichiarazione, si porrebbe paradossalmente come limite alla rinnovazione proprio nelle<br />
ipotesi in cui la prova dichiarativa si presenta in astratto meno attendibile e quindi più esposta<br />
alla necessità di essere rinnovata.<br />
5.<br />
L’interpretazione conforme dell’art. 603 c.p.p.: una strada<br />
accidentata, ma percorribile.<br />
Non meno criticabile si presenta la risposta offerta della giurisprudenza di legittimità nelle<br />
ipotesi in cui è stata rilevata l’analogia tra la fattispecie interna e quella sovranazionale.<br />
Registrata l’identità tra le fattispecie, l’interprete domestico è posto di fronte ad un percorso<br />
ineludibile: misurare, in riferimento all’istituto che viene in rilievo nel caso di specie, la<br />
compatibilità tra l’ordinamento sovranazionale e quello interno.<br />
E’ un percorso breve, se si accerta la simmetria tra i due ordinamenti; ben più accidentata<br />
e impegnativa, al contrario, può rivelarsi la strada da percorrere nel tentativo di comporre la<br />
riscontrata diastasi tra il diritto interno e quello sovranazionale. Qui fungerà da bussola lo<br />
strumentario offerto dall’interpretazione conforme.<br />
Posta di fronte al descritto vaglio di compatibilità, la giurisprudenza di legittimità ha imboccato<br />
la prima strada, escludendo che vi sia alcuna carenza strutturale dell’ordinamento<br />
italiano in materia di rinnovazione della istruttoria dibattimentale in appello: l’art. 603 c.p.p.<br />
– si rileva – è assolutamente compatibile con l’art. 6 CEDU così come interpretato dalla Corte<br />
di Strasburgo 77 .<br />
Com’è noto, ai sensi dell’art. 603 comma 1 c.p.p., le parti sono ammesse, nell’atto di appello<br />
o nei motivi nuovi, a richiedere la riassunzione di prove già acquisite nel dibattimento di<br />
primo grado: sulla scorta dell’insegnamento delle Sezioni unite della Cassazione, tale prerogativa<br />
è riconosciuta anche all’imputato assolto in primo grado, attraverso memorie o istanze<br />
che fungano da surrogato all’atto di appello o ai motivi nuovi della difesa che si assumono<br />
inammissibili 78 . La delibazione di ammissibilità di tali richieste è ancorata all’impossibilità<br />
per il giudice «di decidere allo stato degli atti» (art. 603 comma 1 c.p.p). La rinnovazione delle<br />
medesime prove è, poi, prevista come prerogativa officiosa qualora il giudice la ritenga «assolutamente<br />
necessaria» (art. 603 comma 3 c.p.p.).<br />
Dottrina e giurisprudenza concordano sulla sostanziale assimilazione dei due parametri,<br />
«non vedendosi come una valutazione d’impossibilità di decidere allo stato degli atti non si<br />
77<br />
Sez. II, Consagra, cit.; Sez. IV, 6 dicembre 2012, n. 4100, Bifulco, in C.E.D. Cass., n. 254950.<br />
78<br />
Sez. un, 12.7.2005, Mannino, cit., p. 3732. L’art. 593 comma 2 c.p.p. così come ricostruito dopo l’ennesimo intervento della Corte<br />
costituzionale (C. Cost., 4 aprile 2008, n. 85, in Giur. cost., 2008, p. 1032 con la quale è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art.<br />
1 l. 20 febbraio 2006 n. 46 nella parte in cui, sostituendo l’art. 593 c.p.p., escludeva che l’imputato potesse appellare contro le sentenze<br />
di proscioglimento relative a reati diversi dalle contravvenzioni punite con la sola ammenda o con pena alternativa) non sembra di per<br />
sé escludere l’appellabilità oggettiva delle sentenze di proscioglimento con formula piena. L’inammissibilità dell’appello, in queste ipotesi,<br />
deriverebbe – per quanto ricavabile implicitamente dalla stessa ratio della sentenza della Corte costituzionale – dall’assenza del requisito<br />
dell’interesse ad impugnare: v. Bargis, L’imputato può nuovamente appellare (con un limite) le sentenze dibattimentali di proscioglimento: la Corte<br />
costituzionale elimina (e nel contempo crea) asimmetrie, in Giur. cost., 2008, p. 1050; sulle problematiche connesse ai limiti all’impugnazione delle<br />
sentenze assolutorie per difetto di interesse, v. Carnevale, L’interesse ad impugnare nel processo penale, Torino, 2012, in particolare, p. 180 s.<br />
3 - 4/<strong>2014</strong> 257