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Diritti umani e giustizia penale<br />
Salvatore Tesoriero<br />
correre a determinarla. Rimarrebbero, al contrario, escluse dall’orbita della rinnovazione le<br />
prove dichiarative che si sono rivelate, all’esito dell’acquisizione in primo grado, superflue e<br />
non pertinenti.<br />
Accertata la non superfluità 87 , il vaglio sulla decisività della prova sarebbe, pertanto, destinato<br />
a risolversi in un giudizio sulla rilevanza della prova stessa 88 : una rilevanza “qualificata”<br />
potrebbe dirsi, trattandosi di un controllo strutturalmente diverso da quello previsto in sede di<br />
ammissione della prova in primo grado (art. 190 c.p.p.) o anche in appello di fronte a prove<br />
sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado (art. 603 comma 2 c.p.p. che, rimandando<br />
all’art. 495 comma 1 c.p.p., richiama l’art. 190 c.p.p.). Nell’ipotesi interpretativa qui<br />
proposta, infatti, il vaglio in negativo di non manifesta superfluità e irrilevanza in cui si sostanzia<br />
il diritto alla prova (art. 190 c.p.p.) andrebbe rovesciato in un giudizio positivo di rilevanza<br />
che può e deve giovarsi dell’esito dell’esperimento probatorio condotto in primo grado 89 .<br />
L’indagine sulla relazione tra la proposizione fattuale oggetto di prova e uno dei facta probanda<br />
indicati nell’art. 187 c.p.p. che, quando non escluda la corrispondenza tra i due elementi,<br />
giustifica l’ammissione della prova in primo grado andrebbe rimodulata – in appello – alla<br />
luce del risultato di prova maturato all’esito del procedimento di acquisizione in primo grado:<br />
sarebbe, così, da ritenersi rilevante e come tale rinnovabile ogni prova il cui risultato abbia<br />
confermato, in tutto o in parte, la sussistenza di un rapporto di corrispondenza con i fatti da<br />
provare 90 .<br />
Tale corrispondenza può assumersi venuta meno quando l’esperimento probatorio abbia<br />
– in sé – dato esito negativo, risultando l’affermazione oggetto di prova non coincidente<br />
con il risultato maturato all’esito dell’acquisizione della prova 91 . In questi casi, l’esito negativo<br />
dell’escussione in primo grado graverebbe la prova di una presunzione di irrilevanza in sede<br />
di rinnovazione, superabile solo in forza di una sua diversa collocazione in una alternativa<br />
ricostruzione dei fatti che è onere della parte istante argomentare nel dettaglio.<br />
Al di fuori della descritta portata del risultato di prova va collocata – si badi – ogni consi-<br />
87<br />
Al giudice d’appello spetta comunque una preliminare ri-valutazione della non superfluità della prova, collegata al giudizio complessivo<br />
di utilità della rinnovazione, che andrà effettuata alla luce dei risultati maturati all’esito dell’escussione, rigettando le richieste istruttorie<br />
concernenti il medesimo fatto oggetto di altra prova di cui s’intende disporre la rinnovazione.<br />
88<br />
In ambito processualcivilistico la prova è tradizionalmente ritenuta rilevante «quando il fatto su cui essa verte rappresenta un<br />
elemento utilizzabile per l’accertamento di un factum probandum», così, Taruffo, Studi sulla rilevanza della prova, cit., p. 54; in ambito<br />
processualpenalistico, la dottrina maggioritaria qualifica rilevante la prova pertinente, da intendersi come quella il cui oggetto appartiene al<br />
novero dei facta probanda; per tutti, Illuminati, Ammissione e acquisizione della prova nell’istruzione dibattimentale, in Aa.Vv., La prova nel<br />
dibattimento penale, Torino, 2010, p. 84; diversa l’impostazione di Ubertis, Prova (in generale), cit., p. 329, il quale distingue tra pertinenza e<br />
rilevanza della prova: la prima certifica la corrispondenza tra oggetto di prova e fatti appartenenti alla regiudicanda; con il vaglio di rilevanza<br />
si misurerebbe, invece, l’idoneità delle fonti o dei mezzi di prova a verificare l’affermazione probatoria. Agli Autori richiamati si deve la<br />
messa a punto anche del lessico che si adotterà nel testo: in particolare, per fatto da provare s’intende la proposizione che afferma l’esistenza<br />
(o meno) di un fatto giuridicamente rilevante per la decisione, la cui verità è oggetto dell’accertamento giudiziale (l’insieme delle siffatte<br />
proposizioni costituisce il thema probandum); per oggetto di prova va intesa «la proposizione che descrive il risultato cui la singola prova può<br />
pervenire in modo autonomo, indipendentemente dalla mediazione del procedimento logico che il giudice dovrà porre in essere per trarne<br />
conclusioni relative ad altri fatti» (così Taruffo, Studi sulla rilevanza, p. 34 e s.); specularmente, il risultato di prova è rappresentato appunto<br />
dalla proposizione probatoria formulabile all’esito dell’acquisizione; dal risultato di prova va tenuta distinta, infine, la conclusione probatoria<br />
derivata dal giudice all’esito di una valutazione che mette capo anche ai cd. fatti secondari (attendibilità della fonte e/o del mezzo di prova e<br />
comprensibilità del mezzo di prova).<br />
89<br />
Illuminati, Ammissione e acquisizione della prova, cit., p. 102 individua nella valutazione rovesciata rispetto a quella tipica dell’art. 190<br />
c.p.p. la peculiarità del giudizio di cui all’art. 507 c.p.p.: «ben lungi dall’essere pleonastico, questo criterio indica che si resta fuori dall’ambito<br />
del vero e proprio diritto alla prova, poiché, di fronte ad una richiesta di parte, la valutazione va rovesciata rispetto a quella tipica di non<br />
manifesta superfluità o irrilevanza; e comunque se ne desume che la prova può essere acquisita solo se appare decisiva o serve a risolvere<br />
i dubbi determinati da un’istruzione dibattimentale insufficiente»; il vaglio tratteggiato nell’art. 507 c.p.p. si presenta – rispetto a quello<br />
proposto nel testo – analogo nel parametro, ma non sovrapponibile stante il diverso grado del procedimento in cui interviene e l’oggetto tipico<br />
(rappresentato da prove nuove e non dalla rinnovazione di prove già acquisite, che pur non esclusa, costituisce ipotesi residuale).<br />
90<br />
L’affermazione concerne sia le prove dirette che quelle indirette: l’utilità della riassunzione delle prime è in re ipsa trattandosi di prove che<br />
anche dopo l’acquisizione hanno confermato un rapporto di corrispondenza con un fatto principale; anche le prove indirette, d’altra parte,<br />
in quanto veicolo di accertamento di un fatto secondario dal quale, tuttavia, possono trarsi inferenze sul fatto da provare appaiono idonee a<br />
determinare la decisione del giudice d’appello. Come tali, sono in linea di principio da rinnovare, indipendentemente dalla collocazione dei<br />
fatti secondari nella motivazione della sentenza di primo grado, nell’ambito della quale ben potrebbero risultare irrilevanti. Il giudice d’appello,<br />
infatti, dovrà misurarsi con la ricostruzione alternativa proposta dal pubblico ministero, nella cui tela inferenziale – non accolta in primo grado<br />
– quei fatti secondari risultavano, al contrario, rilevanti, tanto da costituire oggetto di una prova positivamente escussa. E’ altamente probabile<br />
che gli stessi fatti siano riproposti come oggetto di un esperimento probatorio in appello che il giudice sarà chiamato a rinnovare proprio in<br />
quanto utile alla decisione.<br />
91<br />
La prova può aver dato un esito negativo «sia quando l’esperimento probatorio si è rivelato vano perché da esso non è derivato nulla<br />
di fruibile per la ricostruzione fattuale (ad esempio perché il teste non ha ricordato o non ha riferito alcunché di utile) sia quando si sono<br />
conseguiti risultati incompatibili rispetto all’oggetto di prova»; così, Ubertis, Prova (in generale), cit., p. 307.<br />
3 - 4/<strong>2014</strong> 261