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Diritti umani e giustizia penale<br />
Salvatore Tesoriero<br />
zioni tra tipologie facoltative e obbligatorie di rinnovazione 83 . Non è, infatti, in gioco la natura<br />
di una situazione soggettiva del giudice (anche ammesso, e vi è da dubitarne, che nel processo<br />
penale e nella rinnovazione in particolare vi sia spazio per poteri meramente facoltativi dell’organo<br />
giudicante), bensì la latitudine ermeneutica del relativo presupposto.<br />
Il punto di partenza dell’indagine, comune ad ogni tipo di interpretazione adeguatrice, è<br />
rappresentato, pertanto, dall’esame del tenore letterale delle disposizioni 84 : lo spazio semantico<br />
schiuso dalle locuzioni legislative in questione («non essere in grado di decidere allo stato degli<br />
atti» e «assolutamente necessaria») è idoneo a ricomprendere le condizioni tratteggiate dallo<br />
“statuto convenzionale” della rinnovazione istruttoria In altri termini, devoluta alla cognizione<br />
del giudice d’appello una sentenza di assoluzione, può – in via interpretativa – assumersi<br />
integrata una situazione di non decidibilità allo stato degli atti e un conseguente obbligo di<br />
rinnovazione ogni qual volta la prova ritenuta decisiva sia di natura dichiarativa<br />
Le locuzioni in esame sono costruite su scelte lessicali evidentemente carenti di determinatezza.<br />
La portata concettuale della littera legis – non decidibilità e necessità – è, infatti,<br />
chiara solo nell’evocazione di situazioni processuali non fisiologiche; se si passa a circoscriverne<br />
il perimetro logico-processuale il dettato normativo diviene muto, non rintracciandosi<br />
alcun referente letterale delle nozioni di non decidibilità o necessità. Così, in assenza di ogni<br />
specificazione in ordine alle ipotesi al verificarsi delle quali il giudice si trova impossibilitato<br />
a decidere e quindi nell’assoluta necessità di riassumere la prova, intuitivamente (ma frettolosamente)<br />
si sarebbe portati a concludere che la latitudine dei parametri è tale da comprendere<br />
certamente la rinnovazione obbligatoria della prova decisiva nelle ipotesi di cognizione di una<br />
sentenza di assoluzione.<br />
E’ un’intuizione che conduce a risultati conformi a quelli che si proporranno in questo<br />
lavoro, ma l’iter ermeneutico è ben più accidentato e illumina le condizioni alle quali tale risultato<br />
è accettabile, nonché le criticità e i limiti comunque insiti nel risultato stesso; criticità,<br />
che, lo si anticipa, suggerirebbero in materia l’intervento del legislatore.<br />
Il dettato legislativo, infatti, pur indeterminato, istituisce comunque un duplice ordine di<br />
limiti logici all’interpretazione convenzionalmente conforme.<br />
In primo luogo, se le locuzioni legislative in questione presidiano in modo univoco, pur<br />
senza determinarne esattamente il perimetro, situazioni processuali non fisiologiche e oggetto<br />
comunque di un vaglio giudiziale, deve, allora, considerarsi vietata in sede interpretativa quella<br />
ricostruzione che configuri la rinnovazione probatoria come una fattispecie generale e automatica<br />
agganciata ad ipotesi tipiche e prevedibili di devoluzione. In questo senso, l’interprete<br />
che si spingesse fino a spogliare il giudice d’appello di ogni onere delibativo sulla rinnovazione<br />
della prova nel caso (tipico e prevedibile) di impugnazione della sentenza di assoluzione finirebbe<br />
inevitabilmente per sostituirsi al legislatore travalicando i limiti dell’interpretazione<br />
conforme.<br />
In secondo luogo, tanto più in assenza di referenti lessicali “di relazione”, il confine logico<br />
dei segni linguistici può (e deve) essere ricostruito alla luce dell’ordinamento processuale complessivamente<br />
inteso, indagando le interazioni, a livello di significato, tra l’enunciato normativo<br />
e l’ambiente giuridico in cui è inserito. Su questo versante, il grado di tenuta dell’interpretazione<br />
si misura sulla razionalità giuridica e sulla coerenza a livello sistematico dell’esito ermeneutico<br />
proposto. D’altra parte, una lettura della disciplina della rinnovazione in contrasto con<br />
l’ordinamento deve considerarsi, a monte, vietata poiché proprio quest’ultimo contribuisce in<br />
83<br />
Siffatto criterio distintivo risulta ampiamente utilizzato dalla dottrina in relazione al codice previgente: cfr., per tutti, Bellavista, voce<br />
Appello (dir. proc. pen.), in Enc. dir., vol. II, Milano, 1958, p. 777-778; Del Pozzo, L’appello, cit., p. 309.<br />
84<br />
In questo senso, Manes, Metodo e limiti, cit., p. 17. Il testo è l’imprescindibile punto di partenza dell’itinerario ermeneutico, indipendentemente<br />
dal valore e dallo spazio da riconoscere all’apporto creativo dell’interprete: cfr., Vogliotti, Dove passa il confine Sul divieto di analogia nel<br />
diritto penale, Torino, 2011, p. 65, in cui l’Autore, dopo aver spiegato che il testo è «ciò che abbozza l’itinerario ermeneutico» ma mai «un<br />
punto di arrivo, tale da impedire la prosecuzione del processo ermeneutico di comprensione del diritto» respinge l’idea scettica «che vorrebbe<br />
dissolvere il testo nel flusso dell’interpretazione»; sul significato letterale degli enunciati, fuori dal contesto giuridico, v., già, Eco, I limiti<br />
dell’interpretazione, Milano, 1990, p. 9: «continuo a pensare che all’interno dei confini di una certa lingua ci sia un senso letterale delle voci<br />
lessicali, che è quello elencato al primo posto dei dizionari, ovvero quello che ogni uomo della strada definirebbe per primo quando gli venga<br />
chiesto cosa significa una determinata parola. […] Nessuna teoria delle ricezione potrebbe evitare questa restrizione preliminare. Qualsiasi<br />
atto di libertà del lettore può venire solo dopo e non prima dell’applicazione di questa restrizione».<br />
3 - 4/<strong>2014</strong> 259