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Diritti umani e giustizia penale<br />
Salvatore Tesoriero<br />
operatività della massima stessa; il giudice non può procedervi senza scandagliare funditus il<br />
caso concreto, pena l’adesione a massime intrinsecamente illogiche perché assertive di risultati<br />
esperienziali razionalmente controvertibili. Nel processo, d’altra parte, tale controvertibilità<br />
si pone in un rapporto d’interferenza – seppur non di dipendenza – con le lacune informative<br />
eventualmente certificate dall’assenza della rinnovazione dell’atto probatorio ogni qual<br />
volta nel caso specifico l’alternativa logica che inficia autonomamente la massima generale è<br />
“suggerita” o, comunque, rafforzata dalle omissioni nella formazione della prova, risultando la<br />
sentenza larvatamente percorsa da ipotesi alternative che avrebbero potuto (e dovuto) trovare<br />
spiegazione attraverso le risposte del teste amputate dalla mancata rinnovazione della prova 127 .<br />
L’illogicità della massima è annunciata dall’assenza di una nuova assunzione della prova in<br />
contraddittorio davanti al giudice che decide.<br />
Ora, come si intuisce, le interferenze poste in evidenza risentono in modo decisivo della<br />
“geometria variabile” del sindacato di legittimità. Rispetto ad una sentenza d’appello che condanna<br />
per la prima volta l’imputato, infatti, finiscono per esacerbarsi le ambiguità e le criticità<br />
del sindacato della Corte di cassazione, tradizionalmente sospeso tra il rituale controllo esterno<br />
della razionalità della massima di esperienza e quel giudizio di valore sulle inferenze probatorie<br />
interne (che conducono al risultato di prova), che dovrebbe costituire terreno precluso<br />
all’indagine in sede di legittimità. Impedita, infatti, l’impugnazione di merito, il ricorrente è<br />
fisiologicamente portato a riversare nel ricorso in cassazione le doglianze sul valore attribuito<br />
alla prova e il giudice di legittimità, istituzionalmente non estraneo alle esigenze di giustizia<br />
del caso concreto, è inevitabilmente portato a misurarvisi, snaturando la tipologia del proprio<br />
controllo 128 .<br />
D’altra parte, ancorato il sindacato di legittimità ad un rigoroso (e senza dubbio anche un<br />
po’ artificiale) “dover essere”, va rilevato come, fuori dalle illustrate interferenze, non sembra<br />
potersi istituire alcun automatismo tra l’omissione della rinnovazione della prova, da un lato, e<br />
la manifesta illogicità della motivazione sul giudizio di responsabilità dell’imputato, dall’altro.<br />
Giustificati razionalmente i criteri di valutazione e posto a base della motivazione della<br />
decisione un risultato di prova opposto rispetto a quello assunto dal giudice di primo grado, in<br />
sé non vi sarebbe alcuna automatica smagliatura logica derivante dalla mancata rinnovazione.<br />
Escluse le indebite sovrapposizioni, pertanto, il discorso può proficuamente essere (ri)condotto<br />
sui presupposti della rinnovazione probatoria di matrice “sovranazionale” e sui presidi<br />
processuali posti a tutela degli stessi.<br />
Se, come ampiamente sostenuto finora, il presupposto della rinnovazione è rappresentato<br />
dalla decisività della prova, il sindacato di legittimità non potrà che avere ad oggetto tale<br />
parametro ed è destinato a riflettere i limiti insiti nella nozione di decisività, comuni, come<br />
127<br />
Emblematico, al riguardo, è il rapporto tra la massima adottata dal giudice d’appello (censurata dalla Cassazione) e i risultati di prova nella<br />
sentenza Polimeno (Sez. III, Polimeno, cit.): il giudice d’appello ribalta il giudizio di attendibilità di due testi della difesa senza procedere ad<br />
una nuova audizione degli stessi, ritenendo le relative dichiarazioni non veritiere perché imprecise e contrastanti; la Cassazione, nel censurare<br />
gli «evidenti vizi logici» della sentenza, rileva, tra l’altro, come il fatto che i due testimoni, sentiti a distanza di anni dai fatti, «non rendano<br />
dichiarazioni perfettamente coincidenti non può essere considerato da solo elemento di sospetto o, meglio di falsità». Ad essere tacciata di<br />
illogicità è, pertanto, la massima di esperienza secondo la quale “due testimoni, le cui dichiarazioni sono imprecise e non coincidenti, è probabile<br />
che mentano”. Ai nostri fini, d’altra parte, va colta la relazione evidentissima tra la massima di esperienza censurata e la mancata rinnovazione<br />
della prova. Osserva la Corte: «il rovesciamento del giudizio circa l’attendibilità dei testimoni della difesa deve essere sostenuto da elementi<br />
pressoché incontrovertibili e non dovrebbe mai essere effettuato evidenziando incoerenze o contrasti sui quali l’esame in primo grado non si è<br />
sviluppato. La corte di appello in tal modo opera, infatti, una valutazione negativa di attendibilità senza che i testimoni siano stati chiamati a<br />
spiegare le imprecisioni o i contrasti di cui vengono rimproverati nel secondo giudizio e senza che siano stati richiesti di chiarire i punti che la<br />
corte di appello ritiene controversi. Ciò rende gli esami incompleti e parziali, e come tali non suscettibili di trasformarsi in elemento positivo<br />
che smentisce la versione difensiva che il primo giudice ha ritenuto, invece, fondata anche sulla base delle medesime dichiarazioni che egli<br />
ha giudicato sufficienti per escludere la responsabilità dell’imputato». Nella stessa sentenza si rintracciano ulteriori versanti della relazione<br />
indagata, meno evidenti, ma altrettanto importanti. Sullo sfondo di almeno una delle altre massime di esperienza censurate campeggia<br />
l’interrogativo che dà forma alle lacune dell’argomentazione descritte nel testo: il giudice di legittimità infatti rileva l’illogicità della massima<br />
secondo cui “è inverosimile che i dipendenti lavorino senza retribuzione”. Nel sottolineare la friabilità logica dell’assunto, la Corte esemplifica<br />
in chiave ipotetica alcune ragioni (alternative) che ben avrebbero potuto (e dovuto) trovare spiegazione attraverso un nuovo esame dei<br />
testimoni («le ragioni della crisi di liquidità asseritamente riferite dal titolare, la prevedibile difficoltà per i dipendenti di trovare altre occasioni<br />
di lavoro, la speranza che la situazione critica potesse trovare soluzione grazie ai rapporti da tempo esistenti con l’ente regionale»).<br />
128<br />
Sembra – talvolta con censurabile disinvoltura – sconfinare nel “terreno proibito” la stessa sentenza Polimeno (Sez. III, Polimeno, cit.) che,<br />
come anticipato, si spinge a censurare l’«erroneo accertamento dei fatti» da parte del giudice d’appello; in dottrina, sottolinea come le esigenze<br />
di controllo sulle sentenze siano incomprimibili e tali per cui, in un procedimento privo d’appello, inevitabilmente «si scaricherebbe sul ricorso<br />
per cassazione la richiesta di verificare la giustizia della decisione», Illuminati, Appello e processo accusatorio. Uno sguardo ai sistemi di common<br />
law, in Principio accusatorio, impugnazioni, ragionevole durata del processo, cit., p. 115.<br />
3 - 4/<strong>2014</strong> 270