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Diritti umani e giustizia penale<br />
Salvatore Tesoriero<br />
la ricostruzione della ratio decidendi elaborata dalla Corte EDU e la conseguente operazione<br />
interpretativa nel caso interno. Il parametro “convenzionale” origina, infatti, tra le maglie di un<br />
giudizio in cui i piani dell’ammissione e della valutazione della prova finiscono per intersecarsi<br />
e sovrapporsi in un groviglio concettualmente inestricabile, frutto sia della scarsa sensibilità<br />
rispetto all’autonomia dei singoli momenti della sequenza probatoria, sia della posizione funzionale<br />
dei giudici di Strasburgo, che intervengono come custodi postumi dell’equità della<br />
procedura.<br />
Al contrario, nel nostro ordinamento il procedimento probatorio è connotato da cadenze<br />
formalmente distinte: ammissione, acquisizione e valutazione della prova costituiscono passaggi<br />
formali la cui autonomia giuridico-concettuale si riflette su una disciplina codicistica ad<br />
hoc dei relativi presupposti, delle modalità e delle sanzioni processuali.<br />
L’operazione di trapianto della ratio decidendi “convenzionale” nell’ordinamento interno<br />
sconta, pertanto, un’originaria disarmonia: la portata del parametro riflette inevitabilmente<br />
componenti valutative proprie dell’area concettuale indistinta in cui è plasmato, ma estranee<br />
al vaglio preliminare sull’ammissibilità della prova che lo stesso parametro è chiamato a presiedere<br />
nell’ordinamento interno.<br />
Il rilievo si pone come chiave di lettura privilegiata del tema che ci occupa.<br />
Nel giudizio di trasposizione – e in particolare sulla strada dell’interpretazione conforme a<br />
Convenzione del dettato legislativo interno – è necessario contenere, per quanto possibile, la<br />
tensione centrifuga del vaglio verso giudizi prematuri e indebiti (propri della fase valutativa)<br />
sulle ipotesi di fatto prospettate dalle parti. Va, infatti, tutelata la rituale funzione di preliminare<br />
delibazione sull’ammissibilità di una prova, pur già assunta dal giudice di primo grado.<br />
Le accennate criticità sembrano rimanere ai margini dell’interpretazione proposta dalla<br />
giurisprudenza interna, stando almeno alle numerose sentenze della Corte di cassazione degli<br />
ultimi due anni.<br />
Si tratta di un novero di decisioni connotato da lacune, incertezze e contraddizioni, riflesso<br />
di una ermeneutica ancora immatura ed in costante evoluzione, oltreché inadeguata nel calibrare<br />
strumenti d’interpretazione efficaci.<br />
Nell’ampia gamma di recenti pronunce dell’organo di legittimità non si rintracciano, invero,<br />
due o più orientamenti contrastanti, bensì un reticolo disordinato di affermazioni e criteri,<br />
espressione di approcci – anche ideologici – profondamente diversi. Misurandosi su piani distinti<br />
dell’interpretazione essi talvolta si incrociano, fino a confluire in statuizioni in concreto<br />
di segno opposto.<br />
4.<br />
La rilettura delle rationes decidendi “convenzionali” da parte della<br />
Corte di cassazione.<br />
Il primo (e più significativo) livello su cui si è esercitata l’interpretazione della Corte di<br />
cassazione è costituito dalla ridefinizione dell’ambito di operatività dei criteri proposti dalla<br />
Corte EDU.<br />
Com’è noto, ad essere discussa – a monte – è la stessa possibilità, per il giudice interno, di<br />
dare una propria interpretazione ai principi formulati dalla giurisprudenza di Strasburgo 44 .<br />
D’altra parte, ai margini del dibattito teorico sulla natura vincolante o meno delle interpretazioni<br />
della Corte europea, non può che constatarsi come la genesi casistica delle rationes “convenzionali”<br />
doti comunque il giudice domestico di un potere interpretativo incomprimibile:<br />
spetta infatti a quest’ultimo stabilire se sussiste o meno quell’analogia tra fattispecie interna e<br />
sovranazionale propedeutica all’applicazione del principio “convenzionale”.<br />
E’ tra le maglie di questa operazione interpretativa, spesso condotta con malcelate forzature<br />
della tecnica del distinguishing, che si annida il vero rischio di arbitrarie disapplicazioni<br />
delle rationes “convenzionali”: l’operatività del principio tratteggiato dalla Corte EDU è<br />
44<br />
Cfr., per le opposte opinioni, Ubertis, La Corte di Strasburgo quale garante del giusto processo, in Dir. pen. proc., n. 3/10, p. 371 s.; Id., La<br />
“rivoluzione d’ottobre” della Corte Costituzionale e alcune discutibili reazioni, in Cass. pen., 2012, p.19 e Ferrua, Il contraddittorio nella formazione<br />
della prova a dieci anni dalla sua costituzionalizzione: il progressivo assestamento della regola e le insidie della giurisprudenza della Corte europea, in<br />
Arch. pen., 2008, n. 3, p. 29; Id., Le dichiarazioni dei testi “assenti”, cit., p. 393 s.; Id., La prova nel processo penale: profili generali, in Aa.Vv. (a cura<br />
di Ferrua, Marzaduri, Spangher, La prova penale, Torino, 2013, p. 41 s.<br />
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