Pol<strong>it</strong>iche di internazionalizzazione della FiatA partire dal secondo dopoguerra, e sino agli anni Settanta, le poche grandi imprese <strong>it</strong>aliane (Fiat, Olivetti e Pirelli)intraprendono percorsi di internazionalizzazione verso Regioni e Paesi economicamente deboli ma legatistrettamente all'Italia sotto il profilo storico, culturale e commerciale: l'America Latina e la Spagna.Fiat Auto, in particolare, identifica sette paesi chiave (16): Brasile, Argentina, Polonia, India, Cina, Russia e Turchia;vi effettua investimenti diretti arrivando a prospettare, nei primi anni Novanta, l'obiettivo di arrivare a produrrequattro milioni di vetture. L'obiettivo sembra realistico in quanto i paesi selezionati presentano tutti una dimensionedemografica adeguata (tranne l'Argentina che viene scelta soprattutto in virtù dei forti legami storici e culturali conl'Italia e con Fiat e perché appartiene al Mercosur (17)), idonea a sostenere una domanda interna di mezzi di trasportosignificativa e con buone prospettive (18). In sostanza, sono tutti paesi emergenti, in cui il processo di motorizzazioneè ancora poco sviluppato e per i quali si prevede un ciclo economico di forte espansione, con tassi di incremento delPIL e del numero di autovetture immatricolate di gran lunga superiore a quello dei paesi sviluppati, in cui si registrauna domanda di sost<strong>it</strong>uzione e non più di ampliamento.Le motivazioni sottostanti tale scelta sono molteplici (19). Fiat opera in un mercato europeo saturo, con modestissimeprospettive di cresc<strong>it</strong>a; la sua quota di mercato in Italia è destinata inesorabilmente a ridursi a causa di fattoristrutturali riconducibili all'abbattimento delle barriere all'entrata. Di converso, i paesi emergenti, come primaaccennato, attraversano la prima fase di motorizzazione e sembrano esprimere una elevata domanda potenziale divetture di piccola dimensione, tradizionale punto di forza della casa torinese. La strategia di globalizzazione della Fiatpresenta due aspetti innovativi rispetto a quella dei concorrenti. In primo luogo, si decide di effettuare investimentipesanti, riproducendo in ogni paese il modello della fabbrica integrata di Melfi. Fiat non solo effettua investimentidiretti nei paesi emergenti, ma induce i suoi forn<strong>it</strong>ori principali a localizzarsi in quelle regioni. In secondo luogo, Fiatpunta su un unico modello di autovettura per tutti i paesi emergenti, vale a dire la Palio, concep<strong>it</strong>a come world car,ossia un modello medio economico sostanzialmente uguale per le nuove classi medie delle regioni in sviluppo (20).Con tale progetto l'azienda mira ad una serie di obiettivi economico-finanziari: a) ripartire su un alto volume diproduzione i costi di progettazione e sviluppo; b) realizzare un'unica piattaforma globale di produzione che consentadi utilizzare l'eventuale capac<strong>it</strong>à produttiva in eccesso di un paese per rifornire altri paesi; c) contenere il rischio dibusiness associato alle violente fluttuazioni del mercato di sbocco. Ma, da una parte, il futuro riserva insidiosi eventiquali le crisi finanziarie che investono proprio i paesi emergenti e che frenano la cresc<strong>it</strong>a dei relativi mercati;dall'altra, sul piano produttivo, la realtà è più complessa di quanto previsto: ogni paese impone propri standardtecnici, la conform<strong>it</strong>à ai quali implica costose variazioni delle specifiche di prodotto; esistono numerose barriereamministrative, legali e doganali che rallentano la movimentazione di componenti da un paese all'altro mettendospesso in crisi la gestione just in time dei flussi produttivi. Inoltre, sul piano commerciale, la Palio consegue ungrande successo in America Latina, ma non altrettanto negli altri paesi emergenti. Giova precisare che tentativisimili, compiuti principalmente da General Motors e da Renault, hanno avuto es<strong>it</strong>i fallimentari proprio dal punto divista del marketing: l'ottimizzazione ingegneristica non necessariamente sa tener conto del fatto che bisogni e16. I paesi vengono selezionati sulla base delle seguenti variabili: ammontare della popolazione, tasso di cresc<strong>it</strong>a delredd<strong>it</strong>o previsto nel medio-lungo termine, grado di stabil<strong>it</strong>à pol<strong>it</strong>ica, appartenenza ad aree di libero scambio.17. Mercato comune del cono del Sud (America meridionale).18. Cfr. Bodo (2002, pp. 41-42).19. Cfr. Gavosto (2002).20. Cfr. Balcet (2002). 21. Rosso (2003).14Speciale <strong>BIC</strong> <strong>Notes</strong> – 2006 – Focus
percezioni dei consumatori sono ancora in faso troppo diverse per poter essere soddisfatte da un'offerta identica evenduta come identica (21). Nel seguire tali percorsi, inoltre, Fiat Auto non si impegna a rafforzare la sua posizionein Europa, ed anzi in tale periodo addir<strong>it</strong>tura taglia gli investimenti per i nuovi modelli. I risultati sono negativi su tuttie due i fronti. Quanto sopra induce a una riflessione sul modello di internazionalizzazione adottato dall'azienda. S<strong>it</strong>ratta di un modello che se da un lato ha presentato, infatti, elementi innovativi, dall'altra è stato affetto da gravidebolezze, in primo luogo la trascuratezza per l'Europa, in secondo luogo l'elevata compless<strong>it</strong>à gestionale che ne hacompromesso l'efficienza operativa. Valutando ex post, con il processo di internazionalizzazione la Fiat quadruplicala quota di produzione realizzata fuori dall'Europa, contemporaneamente, però, presenta una gestione notevolmenteappesant<strong>it</strong>a da ingenti oneri finanziari e margini sempre più ridotti. Tutto ciò concorre a spiegare l'attuale crisidell'azienda (22).A queste macrocause se ne aggiungonoaltre di carattere più specifico, legate agliaspetti tecnologico-produttivi, al marketinged alla gestione della finanza.Gli aspetti tecnologico-produttiviCon riferimento al primo aspetto, l'enfasiposta dalla Fiat sull'esternalizzazione di fasidella progettazione e produzione sembrava,in astratto, coerente con lo sviluppo di rapportidi forn<strong>it</strong>ura avanza-ti, così come lo eraanche la costante riduzione del numero deiforn<strong>it</strong>ori diretti. Invece, la pol<strong>it</strong>ica di outsourcingdi Fiat è rimasta ancorata alla ricerca dimeri recuperi di efficienza (decentramento diflessibil<strong>it</strong>à) e non sono stati compiuti avanzamentisignificativi nel sostegno e nella qualificazionedei forn<strong>it</strong>ori, in ordine alla promozionedell'innovazione e della qual<strong>it</strong>à (23).Pol<strong>it</strong>iche di outsourcing della FiatRimanendo ai decenni a noi più vicini, si possono rintracciare almeno due fasi differenti nei rapporti tra Fiat ed i suoiforn<strong>it</strong>ori: la fase del decentramento e la fase dell'outsourcing.L'inizio della prima fase risale al periodo dell'autunno caldo, in cui l'esternalizzazione di alcune lavorazioni èconsiderata strumentale all'usc<strong>it</strong>a dalla crisi: il risultato auspicato è una riduzione dei costi congiunto ad unincremento di flessibil<strong>it</strong>à della manodopera.La fase dell'outsourcing (24), quella attuale, è connotata da rapporti più stretti e di lungo periodo con i forn<strong>it</strong>ori conl'obiettivo di migliorare la qual<strong>it</strong>à dei prodotti e dei processi produttivi, ridurre gli immobilizzi finanziari ed assicurareun time to market (il tempo che intercorre tra l'avvio di un progetto ed il lancio del nuovo modello sul mercato) inlinea con la concorrenza (circa 2-3- anni) (25). Le strategie sottostanti, che accomunano tra l'altro i maggiori produttoridi auto, sono una riduzione del grado di integrazione verticale ed una contestuale razionalizzazione della rete deiforn<strong>it</strong>ori, da cui derivano una riorganizzazione della filiera secondo linee gerarchiche ed una forte contrazione delnumero di forn<strong>it</strong>ori (26).21. Rosso (2003).22. È interessante notare che, nello stesso periodo, PSA (Peugeot e C<strong>it</strong>roen) persegue strategie che sembrano, a grandilinee, speculari a quelle di Fiat. PSA, infatti, lim<strong>it</strong>a gli investimenti nelle aree emergenti, rafforza la sua presenza inEuropa, investe in R&S, punta sulla qual<strong>it</strong>à dei prodotti.23. Panati, Golinelli (1991); Antonucci, Castellani, Ferrero (2002, p. 24).24. Sugli sviluppi più recenti in tema di outsourcing, Tracogna (2004, pp. 41-65).25. In Europa, tra il 1987 ed il 2000, si registra un progressivo accorciamento del time to market, da 5-6 anni a 2-3anni.26. Cfr. più diffusamente Cullino, Fabrizi (2004).Speciale <strong>BIC</strong> <strong>Notes</strong> – 2006 – Focus15
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