12UNIVERSITÀ!POLITICHEPOSSIBILIINTERVISTA AD ANGELO GUERRAGGIOIPOTESI PER L’UNIVERSITÀLa riforma Berlinguer non è la causa <strong>di</strong> tutti i mali del sistema universitario. La meritocrazia,invece, è la strada da percorrere per ottenere maggiore giustizia socialeMARCO VALERIO LO PRETEIniziamo da una riflessione,chepercorre il vostro pamphlet(“Ipotesi per l’università”),sulle“finalità”, gli obiettivi del sistemauniversitario. Secondo voiquest’ultimo dovrebbe avere ilruolo <strong>di</strong> grande mixer sociale edessere <strong>di</strong>spensatore <strong>di</strong> competenzee flessibilità. Potreste approfon<strong>di</strong>requesta che è, potremmo<strong>di</strong>re, la prima delle vostre“ipotesi sull’università”?Noi cre<strong>di</strong>amo che tutto il sistemaeducativo, a partire dalla primaelementare fino all'università,abbia in effetti questo ruolo <strong>di</strong>mixer sociale, nel senso che i ragazzivia via più adulti entranonel sistema educativo ovviamentetargati da alcune <strong>di</strong>seguaglianzesociali, perché nascono in determinatefamiglie, perché vengonoda determinati strati socialie compito della scuola, ed inparticolare dell'università, èquello <strong>di</strong> ridurre queste <strong>di</strong>seguaglianzesociali, facendo emergerequelli che, pur a partire dabackground più sfavorevoli e sfavoriti,hanno i meriti per emergere.In questo modo si prepara peril paese una classe <strong>di</strong>rigente chenon risente del fatto che il ragazzoè nato in una certa <strong>famiglia</strong> omeno, ma che “risente” dei meritie delle capacità dei ragazzi. Inquesto senso lo Stato, tramitel'università, ci sembra debba premiareed in<strong>di</strong>viduare i ragazzi migliori,quelli che hanno maggioricompetenze e flessibilità intellettualiper occupare posti <strong>di</strong> responsabilitànel loro imme<strong>di</strong>atofuturo.a responsabilità e a status sociale,la selezione la si fa su tutti i laureati.A operare la selezione poinon sono più lo stato o lo stu<strong>di</strong>o,o anche la fatica <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are, maper esempio il caso, la fortuna, leconoscenze familiari, oppurel'azienda, e non sempre con criteriche mi pare rispettino il benecollettivo.“La situazione dell’universitàitaliana è inquietante”, <strong>di</strong>te.Questo al <strong>di</strong> là delle varie leggi:lalegge Casati del 1859, la leggeGentile del 1923, poi le mo<strong>di</strong>ficheprospettate dal Ministro Guied i provve<strong>di</strong>menti urgenti del1968,infine Ruperti.Di fronte aduna università che – accorgimentilegislativi a parte - <strong>di</strong>vienesempre più <strong>di</strong> massa, si puògiu<strong>di</strong>care fosse necessaria e<strong>di</strong>nelu<strong>di</strong>bile la riforma del 3+2?Noi <strong>di</strong>ciamo in effetti che la situazioneè inquietante; altri colleghi,stu<strong>di</strong>osi, opinionisti e giornalisti,si sono espressi anche in manierapiù dura, più decisa nei confronti<strong>di</strong> quella che è detta “riformadel 3+2” o “riforma Berlinguer”.Noi non cre<strong>di</strong>amo sia un male as-crosanti. Il primo è quello <strong>di</strong> portarepiù ragazzi a fare l'universitàe questo è un bene, soprattutto sesi confrontano le statistiche italiane– soprattutto <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci anni fa– con quelle degli altri paesi europei.Secondo obiettivo è quello <strong>di</strong>aumentare la produttività del sistema;prima della riformaBerlinguer, su tre ragazzi che entravanoin università, solo uno silaureava. Questo da un lato ovviamentecomportava per loStato una grossa spesa ma, oltre aciò, si può immaginare che quelliche non riuscivano a laurearsiaccumulassero dentro <strong>di</strong> sé frustrazionie problemi psicologici,rischiando <strong>di</strong> sentirsi dei “falliti”.Il terzo obiettivo è quello <strong>di</strong> ridurrela durata degli stu<strong>di</strong> universitari,perché anche quel ragazzo sutre che arrivava alla laurea, cimetteva me<strong>di</strong>amente, a fronte <strong>di</strong>una durata del corso <strong>di</strong> quattroanni, intorno ai sette anni.Quarto obiettivo che la riforma siponeva era quello <strong>di</strong> “modernizzare”il sistema universitario, chevoleva <strong>di</strong>re fondamentalmenteavvicinarlo alle esigenze delmondo produttivo che spesso lamentavail fatto che i ragazzi fan-• ANGELO GUERRAGGIOè docente <strong>di</strong> Matematica generalepresso la facoltà <strong>di</strong> Economiadell'università dell'Insubria e presso laBocconi <strong>di</strong> Milano. Autore, assieme alProf. Mariano Giaquinta, del libro “Ipotesiper l'Università” (Co<strong>di</strong>ce E<strong>di</strong>zioni, 2006,pp.89).ne che il paese ha della ricerca,dello stu<strong>di</strong>o. Cosa ci ha portato,per usare le vostre parole,a <strong>di</strong>venireun paese che “non ama eccessivamentené la scienza,né latecnologia” e che quin<strong>di</strong> mirapiù che altro a risparmiare sullaricerca?E' un atteggiamento che viene dalontano, dalla storia <strong>di</strong> questopaese. Si può anche sostenere siadovuto alla presenza <strong>di</strong> una fortecultura cattolica. Per noi matematicisi ricorda sempre l'iniziodel XX secolo, quando un periodomolto fecondo per la mate-successo economico italiano indeterminate aree e settori, lo sipaga nel lungo periodo, quandoentrano nel mercato altri paesi,ovviamente penso a quelli orientali,che hanno forza lavoro a minorcosto. A questo punto quelleproduzioni che hanno bassocontenuto tecnologico devonoadesso subire la concorrenza <strong>di</strong>cinesi ed in<strong>di</strong>ani, ed è inutile lamentarsi.Una scorciatoia, dunque,perché nell'imme<strong>di</strong>ato paga<strong>di</strong> più comprare i brevetti all'esteroche non formare una classe <strong>di</strong>ricercatori. Ma prima o poi, comesi <strong>di</strong>ce, i no<strong>di</strong> vengono al pettinee adesso, con la concorrenza deipaesi asiatici e con un mercatopiù aperto dei ricercatori, stiamopagando gli errori fatti. Io le citavoprima storie lontane d'iniziosecolo, ma ci sono anche quellepiù recenti, quando all'inizio deglianni '60 - penso al caso Mattei,penso al caso Ippolito, penso alnucleare - forse in Italia sarebbestato possibile pensare ad una <strong>di</strong>versapolitica tout court, e ad una<strong>di</strong>versa politica della ricerca inparticolare.Certo,infatti come punto dolenteche in<strong>di</strong>viduate nella situazioneo<strong>di</strong>erna c'è quello della bassaqualità degli stu<strong>di</strong> oggi. Un prodotto<strong>di</strong> bassa qualità,cioè l’universitàintesa come un “atto dovuto”,sposta il momento dellaselezione altrove,in un mercatodel lavoro che in Italia è spessopoco trasparente e meritocratico.Farrientrare la meritocrazianelle università vuol <strong>di</strong>re quin<strong>di</strong>far sì che lo stato garantiscauguaglianza <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong>partenza,uguaglianza sociale? Eallora la meritocrazia, non piùparola vuota e che riempie labocca <strong>di</strong> opinionisti ed accademici,comela si fa rientrare nelleaule e nei laboratori?Alzando il livello e la qualità deglistu<strong>di</strong> universitari, nel senso cheora, un po' paradossalmente, tuttivanno all'università -. anche senon è vero - e questo <strong>di</strong> per sénon è affatto un qualcosa <strong>di</strong> negativo,e tutti si laureano, tutti con110 e lode – ancora una volta, misto esprimendo in termini paradossali-. Questo fatto fa sì chepoi, non essendo tantissimi i postimigliori in quanto a stipen<strong>di</strong>o,soluto e che tutti i mali derivinoda essa. È stata una riforma importantenella storia dell'universitàdel paese; come lei ricordavainfatti c'è stata la legge Casati, c'èstata la riforma Gentile ancoraagli inizi degli anni '20, e poi sostanzialmentenulla <strong>di</strong> organicofino al '68, ed anche allora, nonostantela liberalizzazione deglistu<strong>di</strong> universitari, non assistiamoa nessuna legge organica.Precedentemente ci sono stativari provve<strong>di</strong>menti: sono stati introdottii <strong>di</strong>partimenti, sono statiintrodotti i dottorati, si è creato ilMinistero dell'Università ma, ecco,la riforma Berlinguer è in fondola prima che ambisce ad essereuna riforma organica del mondouniversitario.Quali gli obiettivi che, secondolei, gli ideatori della riforma sierano prefissati?Gli obiettivi sono secondo me sa-no l'università, ci mettono moltotempo e, quando arrivano inazienda, sono da “riformare dacapo”. Lamentavano insomma lagrossa frattura tra una universitàvecchia e la produzione che inveceaveva bisogno <strong>di</strong> competenzee flessibilità <strong>di</strong>verse.Quin<strong>di</strong> <strong>di</strong>ciamo che nel vostrotesto,da una parte vi <strong>di</strong>stanziateda chi annovera la riforma tra le“catastrofi del paese”, dall'altrovedete il problema nel modo incui questa è stata attuata...Esatto, il problema consiste proprioin come è stata attuata la riforma,in come si è venuta mischiandocon alcune correnticulturali che giravano nel paese.Tutto ciò ha prodotto effetti negativi.Questo è un punto interessantein chiave <strong>di</strong> “libertà <strong>di</strong> ricerca”,anche per spiegare la concezio-matica italiana, venne in parte ri<strong>di</strong>mensionatoda Croce e Gentile.Penso ad esempio alla polemica<strong>di</strong> Benedetto Croce con FedericoEnriques, allora Presidente dellaSocietà Filosofica italiana.Questo amare poco la scienza e latecnologia è un processo che vieneda lontano e fa parte della cultura<strong>di</strong> questo paese, e si pone comeuno degli ostacoli che dobbiamosuperare. A queste ragionipiù <strong>di</strong> stampo culturale si associanoe si aggiungono anche ragioniche fanno riferimento allastruttura produttiva italiana, nelsenso che spesso le nostre aziendehanno preferito nella storiadel '900 la scorciatoia, la via piùbreve, quella che consiste nel basarsisu produzioni con bassocontenuto tecnologico e, laddoveavevano bisogno <strong>di</strong> conoscenzetecnologiche, <strong>di</strong> acquistare ibrevetti all'estero. E' chiaro chenell'imme<strong>di</strong>ato questo, che costituisceanche una delle chiavi delUn’ultima domanda. Nel vostrolibro “Ipotesi per l'università”non proponete una nuova riforma,piuttosto suggerite alcuneipotesi. Ce n'è una che vi sta inparticolare a cuore?In due parole: l'università adessosi è aperta e si è allargata; il numerodegli iscritti è aumentato; va all'universitàanche chi vuole faresolo un corso triennale in <strong>di</strong>sciplineche fino a poco tempo fanon erano tipicamente universitarie;vi sono università maggiormenteprofessionalizzanti…Tutto questo va bene. Ma è necessariovenga anche conservata,e non solo dopo i primi tre anniquando il ragazzo ha già 21, 22 o23 anni e pensa già ad altre cose,la possibilità <strong>di</strong> avviarsi a stu<strong>di</strong> serianche <strong>di</strong> natura teorica, per ragazziche sin dall'inizio pensano– essendo naturalmente ciascunolibero <strong>di</strong> cambiare idea in unsenso o nell'altro - all'universitàanche come comunità <strong>di</strong> ricerca,dove i docenti non facciano solo<strong>di</strong>dattica, ma contemporaneamentericerca.
IL MITO DELLA FAMIGLIANATURALE. LA RIVOLUZIONEDELL'AMORE CIVILEInchiesta sulla <strong>famiglia</strong> (e sulla più profonda rivoluzione antropologica dei nostri tempi)DIEGO GALLII dati statistici, la sociologia, la ricercapsicologica, ci raccontanocome la <strong>famiglia</strong> abbia già vissutouna rivoluzione antropologicache l'ha trasformata profondamente.La crociata del Vaticano contro ilriconoscimento delle unioni <strong>di</strong>fatto e omosessuali è soltanto il<strong>di</strong>sperato ed estremo tentativoreazionario <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendere un or<strong>di</strong>negià inesistente. Nel vissuto dellefamiglie italiane, nelle relazionie nei valori che le tengono unite,emergono nuove moralità, sfidedelicate, battaglie <strong>di</strong> emancipazione,forme <strong>di</strong> amore che siconiugano con l'autonomia e sfidanomiti nefasti del passato.La <strong>famiglia</strong><strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto naturaleNel manifesto con cui le più importantiassociazioni cattolicheitaliane hanno convocato ilFamily day per il prossimo 12maggio si legge: “Solo nella <strong>famiglia</strong>fondata sull’unione stabile <strong>di</strong>un uomo e una donna, e aperta aun’or<strong>di</strong>nata generazione naturale,i figli nascono e crescono inuna comunità d’amore e <strong>di</strong> vita,dalla quale possono attendersiun’educazione civile, morale e religiosa.La <strong>famiglia</strong> ha meritato etuttora esige tutela giuri<strong>di</strong>ca pubblica,proprio in quanto cellulanaturale della società e nucleooriginario che custo<strong>di</strong>sce le ra<strong>di</strong>cipiù profonde della nostra comuneumanità e forma alla responsabilitàsociale”.In tutte le <strong>di</strong>chiarazioni e i documentiufficiali del Vaticano si riba<strong>di</strong>scel’origine “naturale” della<strong>famiglia</strong> tra<strong>di</strong>zionale, il cui fondamentoè rappresentato dal “bene”della generazione dei figli.Questa visione della <strong>famiglia</strong>, tuttavia,non è affatto naturale. La<strong>famiglia</strong> è una delle istituzioni socialiche più si è trasformata nelcorso della storia e nei vari contesticulturali. Come ha scritto l’antropologoFranco La Cecla suRepubblica: “Ci sono società dovenon esistono coppie fisse, cisono famiglie poligamiche nelfondo dell’Amazzonia o inSenegal e ci sono ovviamente famiglieallargate. Siamo noi l’eccezione:la <strong>famiglia</strong> mononucleare– la solitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> marito e mogliee dei loro figli - è una invenzionerecente. C’è voluto l’avvento delcapitalismo e del lavoro salariatoche ha <strong>di</strong>strutto la <strong>famiglia</strong> allargatache era anche un’entità economica– gli antropologi parlano<strong>di</strong> “maison” o <strong>di</strong> “household” - eche ha creato la coppia come laconosciamo oggi”.La stessa etimologia della parola<strong>famiglia</strong>, dall’italico famel, che significa“casa”, rimanda a una <strong>di</strong>mensionerelazione e non biologicao riproduttiva: la casa, il luogodove stare, dove convivere.Il cambio<strong>di</strong> para<strong>di</strong>gmaLo scontro sul riconoscimentodelle unioni <strong>di</strong> fatto e omosessualiaffonda le sue ra<strong>di</strong>ci nellacontrapposizione tra due visioniculturali e antropologiche opposte.Da una parte quella cattolicatra<strong>di</strong>zionale, che il bioeticistaMaurizio Mori e il ginecologoCarlo Flamigni chiamano della“sacralità della vita”, dall’altraquella laica o della “qualità dellaLa <strong>famiglia</strong> èuna delleistituzionisociali che piùsi è trasformatanel corso dellastoria e neivari contesticulturalivita”. Questo scontro, che i duedescrivono in questi termini inoccasione del referendum sullafecondazione assistita, investepienamente la visione tra<strong>di</strong>zionaledella <strong>famiglia</strong> come societàorganica originaria, più importantedei singoli in<strong>di</strong>vidui che lacompongono in quanto “or<strong>di</strong>neoggettivo che rispecchia la “naturadelle cose””.L’etica della qualità della vita irrompenella cultura occidentalenon appena viene rotto quel legameancestrale che lega la sessualitàalla riproduzione. Sono icontraccettivi, ancor più e ancorprima dell’aborto, a rompere“l’or<strong>di</strong>ne naturale”.Laura Fruggeri, nel suo libro“Diverse normalità”, passa inrassegna le varie tipologie familiarievidenziando le qualità relazionaliche le caratterizzano.Famigliericostituite“Un primo esempio in propositopuò essere quello delle famigliericomposte: nel momentoin cui tali relazioni non vengonovissute come alternative fraloro, compongono un contestoarticolato nel quale gli in<strong>di</strong>viduiimparano a coniugare vicinanzae <strong>di</strong>stanza, intimità e autonomia.Nelle coppie ricostituitec’è un gestione allargata dellagenitorialità, che richiede unabuona flessibilità dei ruoli ricopertida ognuno. Un altro aspettosaliente nelle famiglie ricomposteè quello relativo all’elevatogrado <strong>di</strong> inter<strong>di</strong>pendenza trai <strong>di</strong>versi nuclei familiari che locompongono, che implica unaflessibilità nella definizione deiconfini familiari, cioè la certezzasu chi è dentro e chi è fuori acui è solitamente legata l’assegnazionedei ruoli e delle funzionifamiliari, e dunque unaapparentemente più facile gestionedei rapporti interpersonali”.Famiglie conun solo genitoreSecondo l’ultimo rapportoIstat, negli ultimi 15 anni le famigliemonogenitoriali sonopassate da circa un milione emezzo (pari al 9,6% del totaledei nuclei) a oltre 2 milioni (parial 12,2% nel 2003). ScriveLaura Fruggeri: “Dai dati raccoltida Everri (2003) emergeche i figli cresciuti in queste famigliemostrano livelli <strong>di</strong> autonomiae maturità maggiore rispettoai coetanei che cresconoin famiglie in cui sono presentientrambi i genitori”.La <strong>famiglia</strong> oggi non è più fondatasulla riproduzione, a prescinderedal riconoscimento o menodelle unioni omosessuali.Roberto Volpi, statistico, progettatoredel Centro nazionale <strong>di</strong> documentazionea analisi per l’infanziae l’adolescenza del ministerodel Welfare, ha raccolta inun libro appena pubblicato, “LaFamiglieomosessuali“La coppia/<strong>famiglia</strong> omosessualeha la possibilità, in assenza<strong>di</strong> modelli precedentementeesperiti a livello socio-culturale,<strong>di</strong> <strong>di</strong>venire norma a sestessa, ossia <strong>di</strong> ridefinire in positivol’impossibilità del riconoscimentolegale, centrandoil proprio focus strutturantenel vissuto <strong>di</strong> ricostruzione deipropri riferimenti valoriali. (…)Il che ben si allinea con le attualiteorizzazioni sulla <strong>famiglia</strong>vista non più come entitànaturale, ma come artefattoculturale complesso e in uncerto senso artificiale, creatodalla volontà e dai desideri deisingoli in<strong>di</strong>vidui”.Comunità<strong>di</strong> famiglieLa nostra legge riconosce già lecomunità <strong>di</strong> famiglie come forma<strong>di</strong> convivenza. La legge184/1983 istituisce la comunità<strong>di</strong> tipo familiare come alternativaalla <strong>famiglia</strong> per l’affido <strong>di</strong>minori. La legge 328/2000 aggiungeche queste comunitàdevono essere caratterizzate da“organizzazione e da rapportiinterpersonali analoghi a quelli<strong>di</strong> una <strong>famiglia</strong>”. “E’ proprionella gestione dell’equilibrio frapubblico e privato che si puòcogliere il punto nodale d rotturache caratterizza la singolaritàdelle comunità <strong>di</strong> famiglie. Lacura dell’intimità dei rapportiprimari e l’apertura al contestosociale costituiscono le duetensioni <strong>di</strong>vergenti, ma interconnesse.La <strong>di</strong>mensione comunitaria,infatti, non annullané sostituisce la <strong>di</strong>mensioneprivata, intima e interpersonale.Anzi, quest’ultima viene alimentatadalla prima. Le comunità<strong>di</strong> famiglie ripropongono alcentro dell’attenzione l’importanzache le relazioni socialifine della <strong>famiglia</strong>”, alcuni datistatistici che <strong>di</strong>mostrano in modoincontrovertibile la scissionetra <strong>famiglia</strong> e riproduzione.Dal 1975 ad oggi si è passati da 2,4a 1,2 figli per donna, dato cherende l’Italia cattolica il Paese conil più basso tasso <strong>di</strong> natalità almondo. La <strong>di</strong>mensione me<strong>di</strong>adella <strong>famiglia</strong> è scesa da 3,35 a 2,6hanno nello sviluppo della vitafamiliare e dei suoi membri. Sipropongono come antidoto allaeccessiva privatizzazione familiareche produce isolamento,solitu<strong>di</strong>ne, mancanza <strong>di</strong> sostegnoe, conseguentemente,un impoverimento delle risorsea cui le famiglie possono ricorrereper far fronte agli inevitabilieventi critici che costellanoil loro ciclo <strong>di</strong> vita. (…) Le comunità<strong>di</strong> famiglie costituisconouna rie<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> forme <strong>di</strong>socialità che in tempi più lontanisi strutturavano spontaneamenteall’interno delle reti informaliin cui le famiglie sonoiserite. Forme <strong>di</strong> socialità che alcuniautori hanno definito “famigliepiù larghe della parentela””.Il fenomeno LATIntrodotto nel 1978 dal giornalistaolandese Michel Berkiel,l’acronimo LAT (Living ApartTogether) in<strong>di</strong>ca un tipo <strong>di</strong> relazionein cui i due partner siconsiderano una coppia stabilema non con<strong>di</strong>vidono la residenza.In Italia risultano inquesta con<strong>di</strong>zione circa il 40%dei giovani tra i 25 e i 34 anniche non convivono o non sonosposati. Secondo il “Rapportosulla popolazione” appenapubblicato dall’Istat: “Le motivazioniche sottendono allascelta <strong>di</strong> questo tipo <strong>di</strong> relazioneincludono: la crescentecon<strong>di</strong>visione dei valori in<strong>di</strong>vidualistici;l’attenzione alla verificadella qualità emotiva dellarelazione intima prima <strong>di</strong> intraprendereun percorso piùstabile e vincolante; il cambiamentodei ruoli <strong>di</strong> genere nellasocietà che rendono più appetibiliper le donne tutte quellesituazioni che le lasciano più liberedalle responsabilità domestiche;l’esigenza <strong>di</strong> flessibilitàe mobilità nelle scelte lavorativee sentimentali”.