PAZZINI 125 ANNI
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na mattina, di buon’ora… Chissà quanti racconti, chissà<br />
quanti romanzi iniziano così! Ma io, scusatemi, non so cominciare<br />
diversamente questo racconto. Perché proprio di<br />
mattina, la mattina buon’ora di un mese collocabile tra il 1928<br />
e il ’29, arriva in tipografia Eugenio, metà fischiettando, metà<br />
nervoso, come un innamorato che attende la sua ragazza ritardataria.<br />
Apre la cassettiera del “corpo 12” (un carattere robusto,<br />
ben leggibile) e comincia a comporre. Veloce, concentrato. Le<br />
righe che si allineano sono strane per me, stranissime. Che roba<br />
sarà? L’italiano lo padroneggio bene, italiano non è; il francese lo<br />
conosco un pochino, perché il cugino di Eugenio, Pitrin, quando<br />
viene in tipografia a chiacchierare, si diverte a biascicarlo; tedesco<br />
non è, perché Eugenio dice che con i “crucchi” non ha mai<br />
avuto simpatia; inglese non mi sembra… Pensa che ti ripensa, a<br />
un tratto una lampadina mi si accende in testa: DIALETTO!!!<br />
Dovete comprendere queste mie esitazioni prima di capire che<br />
fosse dialetto. A differenza del vecchio torchio, che era vissuto in<br />
ambiente dialettofono (fatemi parlare “difficile”una volta tanto..)<br />
il mio arrivo a Verucchio era coinciso con la politica governativa<br />
di diffusione della lingua italiana nelle scuole, negli uffici,<br />
negli atti amministrativi, nella vita civile. Pian piano perciò l’italiano<br />
era diventato dominante nelle conversazioni, nei rapporti<br />
tra le persone, nel lavoro tipografico e anch’io di conseguenza<br />
– come avrete già notato dal racconto – ne avevo subìto i benefici<br />
influssi, migliorando il mio frasario, che era pervenuto a un<br />
italiano dignitoso e quasi raffinato. Ecco il perché delle mie iniziali<br />
incertezze, delle mie strane congetture di fronte a un testo<br />
scritto in lingua che non mi era familiare. Ma la lampadina mi<br />
aveva illuminato. DIALETTO!!! Dialetto romagnolo!! Eugenio<br />
infatti sta componendo, come invasato, righe su righe di piombo<br />
incomprensibili, righe piene di accenti, di parole tronche, di<br />
apostrofi. E sorride ogni tanto, un sorriso nervosetto, appena abbozzato,<br />
ma soddisfatto. Mi è tutto chiaro a giorno ormai fatto,<br />
quando mi sento appoggiare sulla piastra, legato strettamente da<br />
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