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PAZZINI 125 ANNI

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della medicina) in una serena meditazione, ospitata sull’opuscolo<br />

celebrativo, nella quale, prendendo lo spunto dalla longevità<br />

del beato, conseguita in modo naturale, comparata ai moderni<br />

elixir di lunga vita che tentano vanamente di concretizzare il miraggio,<br />

concludeva che “la vita e la morte sono entrambi doni di<br />

Dio, ed hanno leggi che risiedono nell’eternità dello spirito, dove<br />

l’essere esiste al di fuori dell’una e dell’altra. Questa è vera saggezza<br />

per chi può intenderla a pieno: il vero elixir di lunga vita<br />

è questo, che non mette confine tra l’una e l’altra, continuazione<br />

tra loro e completamento”. Eugenio ce la mise tutta e superò se<br />

stesso, considerando questo “numero unico” come le “prova del<br />

nove”, la conferma che la tipografia aveva cancellato definitivamente<br />

le distruzioni della guerra ed era pronta per il gran balzo:<br />

espandersi e ingrandirsi confidando sulla bontà del prodotto e<br />

la dignità dello stile. Alternò perciò l’aldino corsivo con l’etrusco<br />

rotondo, classico e limpido; combinò il Jenson normale con il<br />

Bodoni tondo, inarrivabile per purezza di tratto; saccheggiò gli<br />

scatoloni dei caratteri alla ricerca del grassetto più raffinato, del<br />

maiuscolo “a bastoncino”, severo e leggibile, del corposo Bodoni<br />

per i titoli più marcati e autorevoli. Sembrava stesse davanti<br />

ad uno spartito musicale consegnatogli per l’esecuzione, e da<br />

buon suonatore di cornetta qual era (la passione musicale del<br />

padre Domenico gli si era trasferita pari pari) componeva ed<br />

eseguiva la partitura complessa con levità e fantasia. Ne sortì un<br />

“numero unico” pregevole, ancor oggi gelosamente conservato<br />

da chi è riuscito a recuperarne un esemplare o a rintracciarlo in<br />

dimenticati cassetti. E ancor oggi, a distanza di anni, l’opuscolo<br />

mantiene inalterata la freschezza dei giorno in cui fu programmato,<br />

anche perché non si trattò di un testo stucchevole, inutilmente<br />

retorico e banalmente adulatorio come lo sono tanti testi<br />

commemorativi, ma di un materiale pensato, commissionato,<br />

scritto col cuore, tributo di omaggio verso una figura venerabile<br />

molto cara all’animo dei verucchiesi e tributo di affetto – prendendo<br />

a spunto il ricordo del Beato – verso quel ridente luogo,<br />

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