PAZZINI 125 ANNI
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tampato in carta-paglia, proprio in quegli stessi mesi, è anche<br />
un foglietto che viene distribuito in omaggio ai “piadaioli”<br />
convenuti a Verucchio per il primo “trebbo” del dopoguerra.<br />
Qui occorre aprire una digressione che – i lettori perdoneranno<br />
– non avrà forse l’immediatezza e lo stile fresco dei racconti fatti<br />
dal vecchio torchio o dalla scattante pedalina. Pazienza. Il trebbo,<br />
“e’ trèbb”, è termine assolutamente intraducibile e irrestringibile<br />
in un solo sostantivo. Ci vuole una perifrasi lunghissima<br />
per designare e definire quella riunione, quell’adunanza, quel<br />
ritrovo di romagnoli e romagnole attratti, tenuti assieme, cementati<br />
da una identità di vedute, da un comune “sentire” sulla<br />
vita e il modo di goderla, sull’amicizia, la solidarietà, la gioia<br />
della convivialità, l’attaccamento alla terra, l’amore verso il dialetto<br />
dei padri, l’orgoglio di appartenere ad un ceppo sanguigno,<br />
spaccone ma leale, insolente e sincero, godereccio e insieme lavoratore<br />
coscienzioso, passionale e intimamente tollerante, aperto,<br />
ospitale e felice di esistere: il ceppo romagnolo, insomma. I trebbi<br />
assunsero una veste organizzativa e una scandita periodicità<br />
per l’intuizione e la tenacia del poeta romagnolo per eccellenza:<br />
Aldo Spallicci, la voce più alta della lirica dialettale. Nato a Bertinoro<br />
nel 1886, medico già noto, scelse di dedicare gran parte<br />
della sua vita alla rinascita della Romagna, facendosi animatore<br />
degli studi letterari, folclorici, storici, prima con la rivista “il<br />
plaustro” e poi con “La piê – rassegna mensile di illustrazione<br />
romagnola” fondata nel 1920 insieme con lo scrittore Beltramelli<br />
e il musicista Balilla Pratella. “Piadaioli” di conseguenza venivano<br />
chiamati e si chiamavano affettuosamente tutti coloro che,<br />
aderendo agli inviti della Rivista, convenivano agli incontri, alle<br />
riunioni conviviali e poetiche. L’avversione del fascismo verso<br />
le manifestazioni dialettali, considerate corrompitrici della sana<br />
vocazione unitaria del popolo alla lingua italica, aveva portato<br />
nel 1933 alla soppressione della Rivista; i luttuosi eventi bellici<br />
avevano fatto il resto, interrompendo la tradizione. Verucchio<br />
era stata prescelta dall’indomito Spallicci, ritornato dal confino<br />
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