PAZZINI 125 ANNI

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dei quadri di Edoardo, che nel frattempo allestiva frequentate mostre di pittura in varie città della Romagna con crescente successo. Mi accorgo di questo cambiamento di umore, se me ne accorgo! Non crediate che, perché noi siamo macchine, restiamo impermeabili e insensibili alle passioni degli uomini. Ce ne accorgiamo e come! Come faccio a non notare, ad esempio – visto che fate i San Tommaso – che per tutto il periodo della guerra Eugenio non compone più una poesia? Si, lui, a chi glielo chiede, svicola, ha la scusa subito pronta, e dice che: da quand ch’a-m so spusè la vèina l’a-m s’è schè (da quando ho preso moglie, la vena poetica mi si è inaridita). Ma il motivo è diverso, più profondo. Eugenio compone poesie piene di simpatia, di gioia serena, che fanno leva sui sentimenti più delicati dell’uomo; Enrica è una affettuosa e prorompente sorella, sensibile e gioviale; Maria sprizza entusiasmo, bellezza, gioia di vivere da tutti i pori; Edoardo dipinge campagne ridenti e tramonti di soave tenerezza: come fanno, come possono i Pazzini idolatrare il dominio, la conquista, la sete di vendetta, la violenza? Chi ama la vita, come può volere la morte? Ma la morte arriva, con la furia devastatrice dei bombardamenti. Oh, quel rumore sordo e cupo dei B-52, delle “fortezze volanti” che passano minacciose nel cielo, corvi neri diretti a Rimini col loro carico di bombe! E il rombo dei cannoni tedeschi che dai Brocchi sparano verso Pesaro, con la gente che sta a guardare dal muraglione il fumo lontano del proiettile arrivato sul bersaglio! E chi potrà dimenticare il bombardamento dal mare, avvenuto ad opera di corazzate inglesi e americane? Una di quelle bombe micidiali colpisce in pieno il campanone della Rocca, squarciandolo. Sassi e schegge piovono sulla campana che prima di piegarsi da un lato, ferita a morte, lancia un ultimo rintocco lungo, lugubre, nella notte fonda, per raccontare alla valle l’agonia di Verucchio. ~ 50 ~
Poi giorno dopo una bomba d’aereo colpisce la casa dei Pazzini, spezzando travi e solai, seppellendo tra le macerie macchinari, carta, piombi tipografici, tutto. Sulle rovine, quasi a voler lavare il peccato mortale della guerra, una pioggia insistente, lunghissima come quell’interminabile settembre ’44. Le mani trepidanti di Eugenio, aiutato dal fido Gìo che da poco aveva cominciato a coadiuvarlo nel lavoro della tipografia, mi dissepelliscono amorevolmente. Ma non ero più la pedalina briosa di prima. Mutilata e contorta, con i rulli scentrati, la ruota divelta, continuavo a ripetere, smarrita, ai miei soccorritori: Perché? Tutto questo, perché? Perché? Ma a questi interrogativi angosciosi, deliranti, nessuno, ancor oggi, mi ha saputo dare risposta. ~ 51 ~
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