PAZZINI 125 ANNI

quello struggente e indimenticabile paese che aveva sì dato i
natali a lui, ma non solo a lui. Ci voleva l’animo delicato e la
penna sensibile di Giuseppe Nanni, colto e raffinato scrittore
verucchiese, a condensare questi intimi e inespressi sentimenti
di tanti compaesani in una “lettera al Beato Gregorio” intrisa di
tenera e soffusa malinconia. “Molti siam noi, Verucchiesi sparsi
pel mondo, confusi tra genti diverse, qualche volta amalgamati
con esse, direi livellati spiritualmente per lunga consuetudine,
intonati a poco a poco da inevitabili esigenze di vita con l’ambiente
della nostra fatica quotidiana. Eppure, anche se divisi
materialmente, se ignoti talora l’uno all’altro e, dopo tanti
anni, quasi dimentichi (crediamo) della piccola patria lontana,
abbiamo un segno comune in cui ci riconosciamo compaesani
e fratelli, un segno ostentato o riposto, conservato con pari
cura gelosa da chi crede e da chi non crede: la Tua immagine,
Gregorio Celli. È, lo sai, un’immagine tradizionale ben nota; un
ingenuo rame che reca nello sfondo la chiesa di Sant’Agostino e
la mula famosa che bussa alla porta con la zampa, recando sul
dorso la cassa del miracolo; eppure ha per noi, Verucchiesi lontani,
cui sempre la nostalgia del paese (espressa o inespressa)
stagna nel cuore, il valore d’un simbolo e d’un auspicio. Perché
quella immagine a noi dice: Verucchio; perché anche noi, come
Te caro Beato, lontani dalla nostra bella terra ci sentiamo un
po’ esuli; e vorremmo tornare, quando che sia, come che sia, al
pari di Te, almeno a dormirvi in pace, dopo il lungo travaglio,
vicino a quelli che amammo, che amiamo”.
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