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PAZZINI 125 ANNI

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tra, ma veniva posta sotto una pellicola, riproducente il negativo<br />

della foto, per essere a sua volta sensibilizzata con un fortissimo<br />

getto di luce. La lastra così “impressionata” si immergeva successivamente<br />

in una miscela di essenza di trementina e colle speciali<br />

che la”sviluppavano”: scioglievano cioè la pasta spalmata<br />

sopra la lastra, ma non in modo uniforme, bensì in misura maggiore<br />

o minore secondo la quantità di luce che era riuscita a filtrare<br />

attraverso la pellicola. Infine la lastra veniva trattata – e<br />

definitivamente “fissata” – con una soluzione di acido nitrico,<br />

acido che ha la proprietà di “mordere” lo zinco, mangiare il<br />

metallo là dove non è più protetto – o dove è pochissimo protetto<br />

– dallo strato di pasta: meno protezione c’è, più l’acido intacca<br />

e incide.Tolta la lastra dal bagno e asciugata, ecco apparire il<br />

prodigio: sullo zinco si staglia, nitido e preciso, lo stesso disegno,<br />

la medesima immagine che c’era nella pellicola. Da quel momento<br />

la lastra, montata su uno zoccolo di legno, è pronta per<br />

essere consegnata al tipografo (in questo caso il nostro Eugenio)<br />

che la inserisce sulla piastra insieme al testo composto a mano e,<br />

una volta inchiostrata con inchiostro tipografico, la stampa normalmente<br />

insieme a tutto il resto della composizione. Quanti<br />

santini, dicevo prima, sono passati per la mia pedalina? Chi se<br />

li ricorda? Tanti, comunque, ciascuno col suo carico di dolori e<br />

di rimpianti. Un lavoro malinconico, tutto sommato, anche se<br />

poi, a lungo andare, diventa un lavoro come un altro, al quale ci<br />

si fa il callo. Se cosi non fosse, i medici, gli infermieri dovrebbero<br />

essere sempre tristi, per non parlare poi dei custodi e dei becchini<br />

del cimitero, che dovrebbero piangere da mattina a sera. è<br />

poi la natura, è la vita che prende il sopravvento. Ma alcune<br />

volte il lavoro, quel tipo di lavoro – me lo ricordo – si è fatto<br />

doloroso, pesante come un mattone sullo stomaco; e gli occhi li<br />

ho visti arrossarsi di pianto e ho sentito i singhiozzi accompagnare<br />

il movimento dei rulli. Come quella volta che mi sono<br />

sentita serrare coi morsetti la foto e la composizione del “santino”<br />

di Domenico Pazzini. Eravamo nel ’31. Il vecchio padre,<br />

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